Il comune senso del ridicolo

 In POLITICA

L’ex ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta scrive oggi su “il Giornale” una lettera aperta al Premier sulle nomine della RAI:

Caro presidente Monti, Le confesso che non avrei mai voluto scrivere questa lettera. Per due motivi. Il primo è che sono, e non da ora, sostenitore della necessità di una vera privatizzazione della Rai, così come peraltro richiesto nel 1995 da un referendum radicale rimasto del tutto disatteso.

Il secondo motivo è che le modalità con le quali Lei ha annunziato le novità in tema di vertici dell’azienda radiotelevisiva suscitano allarmate preoccupazioni sotto diversi punti di vista: del rispetto della legalità e dei principi costituzionali che presiedono all’organizzazione di un così delicato servizio pubblico, e del significato politico delle sue dichiarazioni.

Sotto il profilo della legalità suscita una notevole sorpresa e preoccupazione la modalità con la quale Lei ha manifestato una propria indicazione in ordine alla nomina del direttore generale dell’azienda, annunziando, sostanzialmente, di aver dato mandato al consigliere di amministrazione, anch’esso da lei indicato, di presentare la candidatura di Luigi Gubitosi. Per la precisione, nel comunicato diramato in proposito da Palazzo Chigi si leggeva che “il presidente del Consiglio ha anche comunicato l’intenzione di presentare, per il tramite del rappresentante del Mef, nel consiglio di amministrazione della Rai la candidatura di Luigi Gubitosi a direttore generale”.

Emerge una preoccupante idea sui rapporti tra governo e servizio radiotelevisivo. Si ricava cioè la conclusione che il consigliere di amministrazione indicato dal Mef sia una sorta di longa manus del medesimo, sia cioè un “rappresentante” le cui scelte nel Cda sono sottoposte al vincolo delle direttive direttamente provenienti dall’esecutivo, che lo può utilizzare, appunto, come proprio “tramite”. Non Le sfuggirà che un tale approccio si pone in frontale rotta di collisione con i principi costituzionali enucleati da una copiosa giurisprudenza costituzionale in tema di servizio radiotelevisivo, che rischia peraltro di costituire un pericoloso precedente.

Come Ella ben sa, infatti, la governance del servizio radiotelevisivo, anche se nel quadro di una forma giuridica di tipo privatistico, non è interamente assimilabile a quella di una qualsiasi società per azioni e anzi subisce significative deroghe proprio con riferimento ai rapporti tra l’azionista maggioritario, il Mef, espressione del potere esecutivo, e i membri del consiglio di amministrazione.

Come la Corte costituzionale ha avuto più volte modo di ricordare le norme organizzative vanno infatti interpretate in senso “costituzionalmente conforme” al fine di assicurare “l’indipendenza e l’obiettività del servizio radiotelevisivo”. In particolare, con riferimento al consiglio di amministrazione, il nostro giudice costituzionale ha ripetutamente ribadito che “gli organi direttivi debbano avere una struttura «tale da garantirne l’obbiettività»” (sent. 225 del 1974), precisando, altresì che è necessario assicurare la “necessaria salvaguardia dell’indipendenza dei componenti dell’organo di amministrazione della società concessionaria”. Tanto che nella recentissima sentenza 69 del 2009 la Corte ha riconosciuto che, una volta effettuata la nomina, il destino e le responsabilità dei componenti del Cda indicati dal governo debbano fuoriuscire dalla esclusiva sfera di influenza dell’esecutivo, così da escludere perfino il potere di revoca da parte di quest’ultimo.

I supremi giudici della costituzionalità hanno infatti precisato che il “giudizio sull’operato del componente dell’organo… non può essere lasciato – pena la perdita del minimo di tutela della sua indipendenza – alla libera e incontrollata decisione di chi lo ha nominato”.

Da una lettura “costituzionalmente orientata” della disciplina sulla Rai è del tutto evidente, dunque, che, benché indicato dall’esecutivo, un consigliere di amministrazione non può in alcun modo essere concepito come un “tramite” del governo, nemmeno per proporre la candidatura di questo o quel direttore generale, né in alcun modo essere vincolato a direttive che provengano dall’esecutivo. Una volta operata la nomina, l’esecutivo deve rimanere estraneo a ogni attività dei componenti dell’organo, che, semmai, sono sottoposti alla vigilanza della competente commissione del Parlamento. Non è un caso se la legge preveda come requisito preferenziale per la nomina a componente del Cda quello di avere gli stessi titoli che sono necessari per nominare – addirittura – un giudice della Corte costituzionale (art 49 del d. lgs. n.177 del 2005). Pertanto, così come sarebbe assurdo che, ad esempio, il presidente della Repubblica desse indicazioni ai giudici costituzionali di propria nomina su quale segretario generale della Corte costituzionale nominare, altrettanto inammissibile appare che il ministro dell’economia (che nella fattispecie è anche presidente del Consiglio) vincoli il mandato di un consigliere di amministrazione della Rai in ordine alla (candidatura per la) nomina del dg.

Quanto da Lei proposto è anche in contrasto con il diritto societario, al quale la Rai è sottoposta per tutte le materie e gli aspetti non diversamente regolati con legge speciale. In particolare, l’articolo 2380-bis del decreto legislativo 17 gennaio 2003, la cosiddetta legge Vietti, afferma: “La gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. L’azionista Mef può intervenire soltanto sulle materie che gli sono riservate. Non può intervenire nella formazione della decisione del Cda Rai influenzando il comportamento di un consigliere, anche se da esso designato. Il consigliere di amministrazione designato dal Mef deve quindi fare le sue scelte sul nominativo del dg esclusivamente sulla base delle proprie valutazioni, non sulla base di ordini che gli vengono dati dall’esterno.

Tutto ciò ancor più se si considera che il menzionato consigliere di amministrazione indicato dal Mef, Marco Pinto, si trova già in una delicatissima situazione di potenziale conflitto di interessi, trattandosi di persona che è professore di ruolo alla scuola superiore dell’economia a e delle finanze, che dipende dal Mef, e ha ricoperto fino ad oggi e per lungo tempo l’incarico di vice capo di gabinetto del Mef, cioè del ministero il cui vertice adesso lo indica per svolgere “con indipendenza” il ruolo di membro il Consiglio di amministrazione della Rai.

Quest’ultima considerazione mi permette di passare all’ultima riflessione, che attiene al significato politico delle scelte da Lei assunte in merito ai vertici Rai. Non è mia abitudine fare processi alle intenzioni, ma non posso ignorare la tempistica della sua improvvisa conferenza stampa ed anche il significato dell’auspicio che lei ha formulato affinché i partiti procedano a nomine di qualità altrettanto elevata rispetto quelle operate dal governo. Mi sembra, cioè, che Lei abbia voluto, con questa iniziativa, offrire ai partiti una sorta di modello di comportamento esemplare su come procedere alle nomine, forse per prendere le distanze da quanto accaduto nei giorni scorsi sulle Authority, forse per sfidare i partiti stessi a compiere scelte di alto livello, assumendo che si apprestino a compierne di pessimo livello.

Non voglio entrare nel merito di una sorta di giudizio comparativo tra i “nominati”, perché in questo caso, prima che sulle persone, la questione è sul metodo e sull’impostazione corretta dei rapporti tra governo e partiti, ma soprattutto tra governo e Parlamento. Con estrema umiltà mi permetto di segnalarLe, il rischio di un simile atteggiamento. Il rischio, cioè, è quello di cedere alla tentazione di provocare gratuitamente il Parlamento, in questa drammatica congiuntura nazionale ed europea, e riecheggiando un certo atteggiamento genericamente qualunquista che già serpeggia abbondantemente nel Paese. Tanto più se, per svolgere quest’opera “educatrice” dei partiti, si finisce per compiere atti di dubbia conformità con i principi costituzionali e per scegliere persone esposte all’onere di superare un pregiudizio sulla propria indipendenza e specifica competenza tanto, se non più di, quanto dovranno fare coloro che saranno nominati dal Parlamento.

Mi chiedo cosa il mio amico Monti avrebbe scritto in uno dei suoi brillantissimi editoriali sul Corriere della Sera, se quegli stessi comportamenti fossero stati tenuti da Silvio Berlusconi nella doppia veste di presidente del Consiglio e ministro dell’Economia. Con la stima di sempre.

Ora io non sono certo un costituzionalista né ho le competenze tecniche del professor Brunetta però leggendo questa lettera non ho potuto far a meno di ridere proprio per il pulpito dal quale questa predica viene fatta. E che dire di rimandi alla Consulta ed alle sue sentenze, proprio da un esponente di un partito e di un Governo che ha sempre combattuto le decisioni della Corte Costituzionale additandola come partigiana?

Comunque dobbiamo ringraziare Brunetta per questo capolavoro, specialmente per quell’ultimo capoverso nel quale ha ricordato chi fosse il Presidente del Consiglio in precedenza, cioè il mero proprietario delle reti concorrenti del servizio pubblico radiotelevisivo.

Sono passati sei mesi ma quasi dimenticavamo che il professor Brunetta, che adesso si straccia le vesti per il fatto che l’azionista cerchi di controllare il suo membro nel board della RAI, faceva parte di una combriccola che non solo controllava il servizio pubblico ma che era proprietaria anche dell’altra parte dell’etere …

A giudicare dal nervosismo del Popolo della Libertà su queste nomine RAI e sulla difesa del Direttore Generale uscente, Lorenza Lei, mi sa che stavolta Monti ha fatto veramente la mossa giusta!

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