La nuova riforma

 In MEDIA

Quando le campane del Moscone Center hanno annunciato l’inizio della messa laica della mela, nella più bella (per me) città della California e in una delle più belle degli Stati Uniti e dell’intero pianeta, San Francisco, il ricordo dell’ultimo WWDC, quando il Sommo Pontefice della Mela Stefano Primo era ancora lì, con il suo corpo ormai gracilissimo a testimoniare la  fede nella tecnologia della mela, ha cominciato a svanire.

Il passaggio da Steve Jobs a Tim Cook è molto simile a quello che accadde – molte miglia più a est – in Piazza San Pietro nella primavera del 2005, con la fine del pontificato del più mediatico fra i papi, Giovanni Paolo II, e l’inizio del nuovo regno sul trono di Pietro da parte di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, all’epoca del conclave Decano del Collegio Cardinalizio e Prefetto della Congregazione  per la Dottrina della Fede, giornalisticamente definito il custode dell’ortodossia cattolica di Santa Romana Chiesa.

Il WWDC sta al mondo Apple come la veglia pasquale  alla  fede cristiana e cattolica in particolare: a differenza degli altri tre eventi annuali, nelle stagioni invernali, primaverili ed autunnali, quando vengono presentati nuovi prodotti, la conferenza degli sviluppatori Apple è una vera messa cantata non solo per i fan, ma proprio per tutti gli adepti a questa setta, nata come eretica di fronte allo strapotere IBM prima e Windows dopo, e diventata adesso una vera e propria chiesa, con le sue cattedrali, gli Apple Store, e i suoi officianti.

Il nuovo papa della mela, questo brizzolato signore di mezza età, non ha ovviamente il carisma del fondatore né naturalmente lo sta cercando e veramente (e metaforicamente) sembra  Benedetto XVI, che si definì un umile lavoratore nella vigna del Signore, nell’aprile del 2005, un testimone della grandezza di quel marchio, con un solo obiettivo: manifestare che Apple è ancora lì, in saecula saeculorum.

E così comincia la sua liturgia laica snocciolando numeri che sicuramente impressionano, numeri che vanno assolutamente letti insieme a quelli più impressionanti che fanno dell’iOS, il sistema operativo (mi rifiuto di chiamarlo firmware, come forse più propriamente andrebbe detto per gli smartphone) di iPod Touch, iPhone e iPad, il principale supporto di consultazione del web, vale a dire lo strumento principale con il quale milioni di consumatori ogni giorno vanno su internet, leggono e-mail, acquistano, consultano e fanno tutto ciò che ormai è routine nel mondo 2.0 del XXI secolo.

Guardando il nuovo notebook di fascia alta sfornato a Cupertino ancora una volta si capisce che la superiorità tecnologica e progettuale degli ingegneri della Apple e la loro attenzione maniacale ai dettagli, che in molti pensavano potesse scomparire con la dipartita di Steve, non è per nulla cambiata. Ed è probabilmente questo il successo maggiore per il fondatore della Mela, quello di aver consolidato un DNA specifico alla sua azienda ed ai suoi tecnici, che riescono a continuare a stupire con pochi ma significativi prodotti, che si caratterizzano per un aspetto su tutti: la qualità.

È una vera lezione ai sedicenti imprenditori di casa nostra (Fiat in testa), che magari sognano un’uscita dalla moneta unica europea, con l’obiettivo di portare a casa qualche danaro in più da una svalutazione competitiva di una improbabile nuova lira, senza investire in tecnologia, innovazione e qualità dei prodotti che sono l’unica vera strada per competere nel mondo globalizzato contemporaneo. Puoi pensare di mettere tutti i dazi d’importazione che vuoi ma se i prodotti nostrani non sono buoni i consumatori se ne accorgono e scelgono di conseguenza. E i prodotti Apple sono tutti, ripeto tutti, disegnati e progettati in California. Puoi esternalizzare la produzione, ma il cervello rimane nella Valley.

Altri numeri che fanno impressione sono i miliardi (di dollari) distribuiti agli sviluppatori: sarà anche una prigione questo iOS e questo App Store, ma sicuramente è una prigione dorata che milioni e milioni di sviluppatori apprezzano se sono veri i dati che fanno sì che il doppio di revenues degli sviluppatori avvengano per lo sviluppo di App della Mela e non per quelle di Android, l’altro grande protagonista del mercato mobile, di Google, in attesa che il nuovo Windows 8  faccia capire cosa vuol essere da grande e cosa potrà portare nelle tasche dei lavoratori del settore.

Perché possiamo tutti essere affascinati del software libero, dell’open source, delle applicazioni gratuite, ma spesso dimentichiamo che dietro quell’icona sui display dei nostri dispositivi ci sono dei lavoratori del settore informatico che hanno come obiettivo lo stesso degli operai nella catena di montaggio delle aziende cinesi di assemblaggio dell’iPad o del Samsung Galaxi, o della Fiat, o delle grandi industrie manifatturiere del mondo intero: portare a casa lo stipendio per far mangiare se stessi e le loro famiglie!

Con buona pace di coloro che si sentono imbrigliati da iTunes e cercano nuova libertà rompendo le catene della prigione di Apple, i numeri danno maledettamente ragione al nuovo sommo pontefice di Cupertino Timoteo Primo, che con le nuove feature per il mercato cinese, ha svelato i piani della nuova evangelizzazione che attende la Mela: la Cina, il principale mercato del futuro, dove un miliardo e mezzo di cinesi aspettano di passare dal soddisfacimento dei bisogni primari (che noi abbiamo abbondantemente superato da oltre mezzo secolo) alle allettanti nuove necessità di consumo che la moderna società dell’informazione sta confezionando.

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