#Elezioni2013: Se la pancia prende il posto del cuore e della testa

 In POLITICA

Ha ragione Michele Serra quando – qualche giorno fa – scriveva su Repubblica che l’unico criterio visibile, in questa orrenda campagna elettorale, è quello contabile. Certo anche Bill Clinton vinse le elezioni nel 1992, con quella famosa battuta “it’s the economy, stupid!“, però quello che si osserva in questo 2013 in Italia è che il voto lo si sta decidendo sulla base di promesse basate esclusivamente sul portafogli degli elettori.

Non vorrei apparire romantico o ingenuo e so bene che le campagne elettorali si fanno per vincere le elezioni mica per partecipare ad un gioco di società. Ed è normale che in una congiuntura economica così repressiva l’attenzione ai temi economici sia molto alta. Ciò che però colpisce, da parte di tutti i sei i protagonisti principali della politica nazionale, è che parlano soltanto di soldi, soldi e soldi.

Non c’è una visione. Non c’è un sogno.

Qualche giorno fa ascoltavo un mio coetaneo dire che non voterà più seguendo la propria ideologia come aveva sempre fatto in passato: perché sono tutti uguali, era il sottinteso. Ora se utilizziamo il solo criterio contabile è chiaro che le differenze non sono sempre così eclatanti. Almeno a prima vista. Il problema sta proprio nella fine di quelle che abbiamo definito – fino al secolo scorso – ideologie. Avremmo dovuto sostituirle con le visioni e i sogni, ed invece per il timore di ricascare dietro gli stereotipi del Novecento abbiamo parlato soltanto di conti, di tasse, di finanza. Non voglio dire che ciò non sia importante o che quanti soldi in tasca abbiano i consumatori non sia determinante per riavviare la crescita.

Però qual è la visione di società che hanno in mente i sei leader candidati?

Se osserviamo gli ultimi giorni di campagna elettorale abbiamo che il maestro indiscusso di promesse, Silvio Berlusconi, sta parlando direttamente alla pancia degli italiani: promette non soltanto l’abolizione di un’imposta (fattibile) ma anche la restituzione di quella già incassata (fattibile ma improbabile). Promette zero tasse a chi assume under 35, due sole aliquote e tutte le altre cose note, dal ritorno del contante (che sarebbe quasi istigazione a delinquere!) al condono fiscale, da un numero imprecisato di milioni di posti di lavoro a soldi, soldi, e ancora soldi.

Vuole comprare il voto, anche ovviamente con denari non suoi: in pratica si tratta di una specie di corruzione su larga scala del corpo elettorale, colpendo la carne viva del Paese. Rimane un interrogativo: possibile che milioni di italiani siano così smemorati da non ricordare che durante l’ultimo governo la maggioranza era talmente ampia che tutte quelle cose lì avrebbe potuto tranquillamente realizzarle? Veramente crede – la maggioranza del Paese – che è stato frenato da Fini e Tremonti? Possibile che non si ricordino di quello che ha fatto e non ha fatto nel corso di questi venti anni?

Poi c’è il professor Monti: tirato dentro l’agone politico, non si capisce perché se non per evitare un eccesso di polarizzazione verso il Cavaliere e quindi provare a fungere da ago della bilancia, il Presidente del Consiglio presenta il suo programma elettorale come un Amministratore Delegato presenterebbe il Piano Industriale all’assemblea degli azionisti. Manca soltanto che in televisione porti una bella presentazione a supporto del keynote e sarebbe completo!

Grafici, tasse, deduzioni, detrazioni, incentivi, soldi, soldi e soldi. Niente altro.

Il più accreditato dai sondaggi come possibile vincitore, Bersani, sembra invece aver paura: di vincere, di governare, di non avere autosufficienza.

È colui che – per la storia del suo partito – potrebbe raccontare come la sinistra vede la società. Ci prova a dire il vero, aiutato anche da Nichi Vendola che ha un’attenzione particolare ai temi sociali, ma ha commesso secondo me un solo vero errore: ha voluto giocare la campagna elettorale tutta di rimessa, rispondendo alle promesse e alle ricette che proponevano Berlusconi e Monti. Se dovesse – come io mi auguro – vincere le elezioni lo sarà più per manifesta insufficienza degli altri piuttosto che per merito proprio e comunque con meno del 40% del voto popolare alla Camera, dove conta tutto l’elettorato, sarà comunque una vittoria monca, anche se avesse l’autosufficienza a Palazzo Madama.

Beppe Grillo ha rappresentato anche lui un peso massimo che parla al portafogli della gente: è arrivato a promettere mille euro al mese agli operai siciliani della GESIP e continua a fare comizi (o meglio spettacoli) che attirano e amplificano soltanto la rabbia della gente. Non dice assolutamente nulla che esprima calore: soltanto rancore verso chi non la pensa come lui. Sembra ossessionato – paradossalmente – dal debito, dalla finanza e dalla casta. Nessuna visione industriale, nessuna visione macro-economica, nessuna visione tributaria, tanto per restare alla contabilità. Non pervenuti altri temi, nemmeno sul tanto decantato programma disponibile sul suo blog. Vuole il referendum propositivo e senza quorum come si fa in Svizzera, senza però ricordarsi – quando parla dei capitali in Svizzera (come il Cavaliere) – che se i nostri vicini elvetici dovessero bocciare un eventuale trattato con il nostro Governo proprio su quei temi sarebbe la stessa democrazia che vorrebbero introdurre in Italia.

Gli ultimi due entrati in campagna sono Ingroia e Giannino: sono le due facce dei fallimenti di sinistra e destra rispettivamente. Su alcuni temi dicono cose condivisibili ma anche loro, sentendosi più puri dei puri, hanno deciso di correre da soli con il risultato di gareggiare non per vincere, bensì per far perdere.

In tutto questo marasma manca la vision: soltanto Pierluigi Bersani, con Nichi Vendola e il centrosinistra, parla di immigrazione, diritti alle minoranze e conquiste civili. Nessuno parla di proposte concrete, impossibili o improbabili, di come ridurre il divario fra poveri e ricchi, di diritti degli immigrati, di cittadinanza dei nati in Italia, di gay, di diritto di famiglia, di semplificazione per le adozioni, di politiche per la maternità e la paternità, di diritti alla sanità (non alla salute che solo il Padreterno potrebbe garantirla!), di istruzione, di scuola, di asili, di bambini, di parchi giochi, di mafia, di lotta alla microcriminalità, di città, di benessere psicologico.

Soprattutto tutti si riempiono la bocca di merito e di meritocrazia ma nessuno ci dice cosa dobbiamo farcene di chi rimane indietro non perché lavativo, inetto o ignavo: semplicemente perché non ce la fa!

Non tutti possono diventare premi Nobel, né ricchi, né figure apicali della società! Anzi! È proprio il contrario. Cosa facciamo di quelli che rimangono indietro nella scuola, nell’università, nel lavoro: li condanniamo ad un’esistenza di stenti, quasi da girone dantesco come se non meritassero nulla perché sono arrivati ultimi, o costruiamo anche per loro una rete di protezione che li faccia sentire parte della comunità?

Cosa facciamo degli ultimi, tanto per parlare un linguaggio caro ai sedicenti cattolici di destra, quelli che saranno i primi nel Regno dei Cieli? Li lasciamo alla loro mercé in attesa del loro Premio Celeste (per chi ci crede) oppure creiamo delle opportunità affinché questo – di regno – non si trasformi per loro in un inferno?

Tutto il dibattito è ormai stato ridotto a un grande foglio elettronico, con le sue tabelle, i suoi pesi, il suo costo unitario, la base d’asta e via con le promesse. La ricerca del consenso e la conquista del voto sono state trasformate in una grande gara d’appalto con l’unico criterio di aggiudicazione basato sul denaro e sul consumo. Come se anziché essere cittadini fossimo semplicemente dei consumatori.

Ecco prendendo in prestito le parole di Massimo Gramellini, vice direttore de la Stampa, mercoledì sera a le Invasioni Barbariche di Daria Bignardi, voteremo con la pancia, seguendo l’emozione del momento. Quando invece sono in gioco le sorti delle future generazioni bisognerebbe votare seguendo i sentimenti, votando con il cuore e con la testa.

p.s. L’ho scritto su un social network e lo ridico qui: il prossimo politico di destra che parla nuovamente di prima casa come di un diritto sacro, abusando di questo aggettivo, lo inondo di tweet con una sequela di vaffanculo (scusate l’espressione!). Sacro è il diritto ad essere curati, il diritto ad essere istruiti e il diritto di pensare liberamente. Non può considerarsi sacro il diritto di possedere un cumulo di mattoni, per quanti sacrifici si possano fare per metterli su.

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