Extra Ecclesiam nulla salus?

 In RELIGIONE

Non vi è salvezza al di fuori della Chiesa, come dice la celebre latina frase latina e che a più riprese è stata studiata e ristudiata da dottori della Chiesa, dai padri Conciliari e da tantissimi teologi?

Qual è però l’Ecclesiam?

È quella del prete di periferia che in Umbria risponde alla futura senatrice umbra del PDL rimarcando che lo “… spettacolo indecoroso del suo capo è stato anche una vera e propria modificazione dei valori di fondo della nostra società”, rispedendo al mittente la richiesta di un voto per la difesa di valori cattolici che evidentemente non coincidono con quelli di questo sacerdote?

È la Chiesa della Conferenza Episcopale Tedesca, quella di cui ha fatto parte fino a trenta anni fa anche il Card. Joseph Ratzinger da Arcivescovo di Monaco prima che Papa Giovanni Paolo II lo chiamasse all’ex Santo Uffizio, che ieri ha proposto che gli Ospedali Cattolici in Germania somministrino alle donne vittime di stupro la pillola del giorno dopo contraccettiva (non abortiva), dopo lo scandaloso rifiuto ad una ragazza vittima di uno stupro e che poi si è dovuta rivolgere ad un ospedale protestante?

È Ecclesiam quella che emerge dall’inchiesta che su Repubblica sta conducendo la bravissima Concita De Gregorio, sul volume segreto che la commissione cardinalizia incaricata da Benedetto XVI ha redatto sugli scandali curiali che riguardano il sesto e il settimo comandamento?

E quella di Don Andrea Gallo, prete degli emarginati, che propone di rivedere le posizioni dottrinali sul celibato dei preti, sul sacerdozio femminile, sulle unioni omosessuali, sulla comunione ai divorziati è ancora possibile chiamarla Ecclesia?

Forse ha ragione Vito Mancuso che sosteneva ieri, su Repubblica TV, che le dimissioni del papa hanno avuto come effetto quello di aprire le menti di molti e di alti prelati, come i Vescovi tedeschi, che hanno messo sul piatto del Conclave che si aprirà fra qualche settimana in Vaticano un argomento molto spinoso che apre la breccia forse a interventi molto più radicali.

Le stesse dimissioni del Pontefice costituiscono un precedente che rivoluziona la Chiesa stessa. E il nuovo eletto dovrà sicuramente fare i conti con una gestione assai meno personale e più collegiale del ministero petrino.

Ho la sensazione che la Chiesa debba affrontare la vera grande novità di questo terzo millennio e che è costituita dal fatto che la società sta diventando sempre più iperconnessa: forse anche la Chiesa deve diventare social. Non nel senso di frequentare i social network o predicare via tweet il Vangelo: deve comprendere che in un mondo che si va sempre più interdipendente, dove gli uni sono connessi agli altri, anziché ergere barriere sempre più alte è l’Ecclesia che deve aprirsi sempre di più e tornare al valore originario della parola stessa, εκκλησια, assemblea, convocazione.

In questo le dimissioni del papa, date pro Ecclesiae vita, diventano una straordinaria opportunità per scegliere qualcuno che abbia vigore sia fisico che morale: qualcuno che contribuisca affinché le porte della Chiesa siano aperte e non chiuse. “Non c’è niente di più brutto” – mi disse tanti anni fa un’amica – “di trovare le porte di una Chiesa chiuse quando hai voglia di pregare o di confessarti”.

Gli scandali che stanno travolgendo il clero, che sarebbe bene distinguere ogni tanto dalla Chiesa perché le responsabilità dei singoli, anche se porporati finanche il Papa, non possono coinvolgere i fedeli, si possono sconfiggere soltanto innovando: se da un lato abbastanza è stato fatto da questo Pontefice, con la tolleranza zero nei confronti dei preti pedofili, nel mondo difficile che ci è dato vivere forse è giunto il momento di aprire la riflessione almeno ad altri due temi: il celibato sacerdotale e l’ordinazione femminile.

Sul primo argomento mi sembra quasi scontato: nella Chiesa Latina credo sia una rinuncia troppo grande per un uomo. E soprattutto credo sia senza senso imporre a tutti uno stato che potrebbe essere benissimo frutto di una scelta personale e non certo definitiva. Obiettano molti sacerdoti che avendo una famiglia potrebbero incontrare difficoltà a dedicarsi interamente alla loro missione pastorale: suvvia, non scherziamo. Dedicano forse meno tempo i pastori protestanti o gli stessi sacerdoti cattolici di rito ortodosso, o gli anglo-cattolici riconciliati alla comunione con il successore di Pietro, alle loro greggi? Non credo.

Sulla seconda questione invece c’è la delicatezza della questione apostolica: chiamò Gesù solo maschi o fu la situazione storica di duemila anni a imporgli una scelta simile? Non ho competenze teologiche sulla questione però se torniamo all’etimologia della parola Ecclesia, come detto prima, si può pensare che la convocazione, la chiamata ad ecclesiam, valga soltanto per metà del genere umano e non sia invece una chiamata erga omnes? Mi si potrà obiettare che già all’interno della stessa Chiesa le donne hanno ruoli ben definiti, sia per quanto riguarda gli ordini religiosi che per quanto concerne il ruolo molto importante – all’interno del fede cattolica – del ministero straordinario dell’Eucarestia. Tuttavia trovo questa contestazione un po’ troppo comoda: non sarebbero in grado le donne di gestire una parrocchia, una diocesi e perché no l’intera Chiesa Latina? Se la analizziamo da un punto di vista umano trovo che la gestione di una comunità, sia di tipo parrocchiale che diocesano, forse trarrebbe anche grande beneficio se al suo vertice avesse una donna.

La questione dunque rimane squisitamente teologica: può una donna amministrare il Sacramento dell’Eucarestia, fulcro dell’intero Credo cristiano cattolico? Può continuare ad esserci la risposta che all’Ultima Cena fossero presenti soltanto i Dodici e che ad Essi il Maestro diede il mandato di fare questo in memoria di Me? A me sembra piuttosto ovvio che Duemila anni fa il ruolo delle donne nella predicazione di Cristo fosse relegato al massimo che Egli potesse permettersi: se già la sua novella era così rivoluzionaria da finire in croce, come avrebbe potuto ampliare un ruolo che nella società ebraica (e non solo) del tempo era relegato alla cura della casa? Eppure sotto quella croce insieme alla Madre vi erano le altre donne e sono donne coloro che vedono per prime il Risorto, sono donne coloro che gli credono più fermamente, senza calcoli di opportunità pratica come anche Pietro dovrà fare rinnegandolo tre volte prima che il gallo cantasse.

Eppure la Chiesa fondata dagli Apostoli e sul primato di Pietro e dei suoi successori, secondo la massima Ubi Petrus ibi Ecclesiam, le ha estromesse in maniera molto più forzata di quanto il suo stesso Maestro avesse fatto nei suoi tre anni di predicazione. Forse la gerarchia ecclesiastica dovrebbe interrogarsi anche su quanto abbia perduto in termini di accrescimento e di arricchimento del proprio patrimonio spirituale e religioso, estromettendo il modo di vedere il mondo attraverso una lente femminile.

Onestamente non credo che né il prossimo Pontefice, né quello che verrà dopo, avrà la forza di imporre alla Chiesa un dibattito su questi temi, però andrebbe sicuramente aperta una riflessione su tanti punti, che la complessità del mondo contemporaneo, hanno inevitabilmente portato alla ribalta (unioni omosessuali, diritti delle minoranze, problemi di genere, ricerca scientifica). Comprendo che si tratti di problemi molto complicati da un punto di vista teologico ed etico ed interrogano ovviamente la coscienza di ciascun credente. Però di semplice a questo mondo non c’è nulla, nemmeno farsi il caffè la mattina!

E quando ripenso al fondamento della fede cattolica ed al Simbolo, che sia quello Niceno o quello modificato dopo la questione del filioque poco importa, vedo che non è che si fa riferimento al celibato, al sacerdozio o a posizioni sui gay!

Mi piace pensare che la recente posizione del clero tedesco, il più sensibile a posizioni meno reazionarie, possa essere l’inizio di una vera riflessione, all’interno della Chiesa stessa, di questioni più o meno spinose e più o meno dottrinali. A partire ad esempio dal trovare una soluzione per i divorziati all’interno della stessa comunione ecclesiastica, perché anche fermo restando il dogma dell’inviolabilità del matrimonio, secondo la formula “non osi l’uomo separare ciò che Dio ha unito“, bisogna dare una risposta a coloro che – pur vivendo questo trauma familiare – continuano a vivere la loro fede e vivono secondo il loro Credo e i loro principi. 

Forse che per questi individui, formalmente extra ecclesiam, nulla salus?

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