Si fa presto a dire crescita

 In MEDIA

Venerdì pomeriggio, come un pirla alle prime armi su una moto, ho dimenticato di chiudere una tasca della mia giacca, aprendo quindi una falla nelle protezioni waterproof. Peccato che in quella tasca ci fosse il mio buon vecchio iPhone 3GS che come tutti gli strumenti elettronici non vede di buon occhio l’acqua!

Dopo aver provato tutti i rimedi suggeriti in rete, dall’asciugacapelli al barattolo di riso, ho alzato bandiera bianca e mi sono rivolto all’assistenza Apple. Ho prenotato sabato sera un intervento al Genius Bar del negozio della Mela più vicino e ieri pomeriggio sono andato al centro commerciale. Con la solita cordialità, che non sai mai se è solo un modo di corteggiarti oppure reale buona educazione, l’addetto al bancone dei geni mi ha suggerito prima di provare a cambiare il display touch screen. Costo dell’operazione 99 euro.

Autorizzo, firmando con il dito sullo schermo dell’iPhone del tecnico, il modulo d’ordine e attendo la riparazione. Dopo cinque minuti il tecnico, Alessandro, esce dal retro del negozio e mi comunica la ferale notizia. Il mio iPhone ha un difetto alla scheda video perché evidentemente l’acqua aveva combinato più danni di quelli che pensavamo. A quel punto la scelta era fra acquistare un altro smartphone oppure farmi sostituire l’apparecchio con uno nuovo al costo di 149 euro.

Accetto la sostituzione anche perché l’ultimo melafonino costa molto, minimo 729 euro, e il suo predecessore cento euro meno. E il modello immediatamente successivo al mio costa ancora 429 euro e ha la metà dello spazio, 8 Gigabyte contro i 16 Gigabyte del mio. Non avendo molta voglia di sottopormi al salasso decido di soprassedere alla tentazione di acquistare il nuovo melafonino, aspettando anche le prossime evoluzioni.

Ma la mia sorpresa sta nell’assoluta assenza, da parte dei tecnici di Apple, di qualunque spinta alla spesa, al consumo. Probabilmente forti del loro marchio e dalla fidelizzazione dei clienti, non hanno in nessuno modo orientato la discussione verso il nuovo acquisto. Anzi, al contrario. Ero io che – come spesso capita a chi si trova in quei santuari della tecnologia – ero un po’ dubbioso, pensando fosse l’occasione per passare al nuovo.

Alessandro, il tecnico, continuava a dirmi che la sostituzione con un apparecchio nuovo, per uno smartphone sì di tre anni ma dignitosissimo, era comunque una buona scelta, se non si volessero spendere i 700 e passa euro dell‘iPhone 5, escludendomi proprio l’eventualità degli altri due melafonini a listino.

Quando sono tornato a casa e ho cominciato l’operazione ripristino, cogliendo l’occasione per bonificare l’accumulo di spazzatura su iTunes, ho ripensato al rapporto cliente-venditore al quale avevo appena partecipato. Qui non si tratta di bontà di un prodotto, di un sistema operativo o di un sistema blindato. Forse ha ragione un mio amico che con 150 euro o poco più avrei potuto acquistare un Samsung più nuovo; forse hanno ragione coloro che pensano che la gabbia innalzata da Apple al loro sistema sia eccessiva; forse avranno anche ragione i moralisti che obiettano che Apple produce attraverso Foxconn in Cina, dimenticando che tutti, da Amazon a Google, producono in Cina; forse tutto questo però l’esperienza cliente all’interno dell’Apple’s Store è qualcosa di irripetibile ed ineguagliabile. Per qualità del servizio ricevuto.

Continuiamo a pensare, nel nostro Paese, soltanto l’aspetto delle fabbriche che chiudono e ci dimentichiamo che se lo fanno è anche perché da noi i clienti non sono trattati come tali.

La cultura americana del customer service è lontanissima dal nostro modo di concepire il business. Si continua a ritenere che il problema della crescita sia soltanto dovuto alla mancanza di denaro per i consumi e non ci si rende conto che coloro che avrebbero e che hanno da spendere si orientano sempre di più verso prodotti e servizi erogati da aziende straniere.

Così è per la principale azienda del nostro Paese, la Fiat, che si trova anni luce indietro rispetto alle case giapponesi e tedesche, soprattutto Toyota e Volkswagen, per restare nella fascia del ceto medio. E non è sempre un problema di prodotto, dato che in US l’azienda di Marchionne si è ripresa. Non comprendiamo che un conto è affermare il cliente ha sempre ragione e un altro è mettere su un insieme di processi e di procedure che realizzino tale massima.

Probabilmente nel segmento del lusso e dell’alta moda, dove la creatività italiana la fa da padrona, tale attenzione c’è. Ma al livello della Apple, certo un’azienda top nella tecnologia ma sempre di massa, c’è qualche azienda italiana in grado di erogare la stessa qualità del servizio al consumatore?

Perché si fa presto a parlare di conservazione dei posti di lavoro, di manodopera italiana, di piccole e medie imprese: ma i prodotti che poi devono essere acquistati dai clienti finali, ammesso e non concesso che ci sia la liquidità per acquistarli, sono veicolati in maniera tale che i clienti si sentono “coccolati” e non come spesso accade “coglionati“?

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