Articolo 3

 In POLITICA

Se c’è una cosa che hanno in comune Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, Barack Obama, Bill Clinton, Ronnie Reagan, Nicolas Sarkozy, tanto per citare politici italiani e non, dalla destra alla sinistra, è che le strategie comunicative le sanno (le sapevano) maneggiare con molta disinvoltura, specialmente nel fare vittimismo.

Matteo Renzi, probabile futuro segretario del PD e forse primo premier under 40 del nostro Paese (se si dovesse votare entro il 2014), lo ha ampiamente dimostrato durante la campagna per le primarie del centrosinistra e all’inizio di questa legislatura. Beppe Grillo – ogni volta che fa la pipì ampiamente fuori il vaso (e capita spesso) – rivolta la frittata e fa la vittima, ergendosi a capo della “gente“, vittima dei soprusi dei potenti. Bill Clinton riuscì a far passare il rapporto “non biblico” con Monica Lewinsky come se non fosse sesso, apparendo quasi come la vittima della bramosia della stagista. Il suo predecessore ex attore, Reagan, era così bravo nel maneggiare le tecniche comunicative che vinse le elezioni del 1980 apparendo come il portavoce delle vittime del Governo Federale, la Bestia da dover affamare. Lo stesso Sarkozy è sempre stato bravo a smussare le critiche nei suoi confronti, con quelle sue espressioni facciali da povero Calimero, tutto sfigato. E anche Obama, nelle vicende del declassamento del debito e sulle ultime un po’ disarticolate uscite sulla Siria, ha ceduto talvolta a fare un po’ la vittima.

E poi c’è lui: il maestro, colui che da venti anni è sulla nostra scena politica e ripete – da sempre – che non lo lasciano lavorare, che è vittima di un complotto della magistratura, dei media di sinistra, di Repubblica, di Carlo De Benedetti, di Eugenio Scalfari e potremmo continuare all’infinito tanto è vasta l’aneddotica sul Cavaliere.

Quindi è incomprensibile – se osserviamo con la lente dell’opportunità politica – la scelta dei senatori del PD di aggregarsi al gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle nel chiedere il voto palese nella votazione sulla decadenza del senatore pregiudicato Berlusconi.

Ma questo riguarda appunto una dinamica della politica odierna, dove evidentemente nel partito guidato pro-tempore da Guglielmo Epifani c’è parecchia paura non soltanto dei propri franchi tiratori, quanto anche in quelli del Movimento di Grillo, non fosse altro per la lezione storica che se ne può trarre dalla mancata autorizzazione a procedere, da parte della Camera, nei confronti di Bettino Craxi nel 1993 e che portò al ritiro della delegazione ministeriale del PDS (e di Rutelli, all’epoca esponente dei Verdi) nel Governo Ciampi, primo esempio di governo di larghe intese nella Prima Repubblica per affrontare l’emergenza economica del tempo (sounds familiar?).

All’epoca – per gli smemorati – Craxi fu salvato dai franchi tiratori di MSI e Lega, che preferirono lo sfascio continuo per demolire il pentapartito ormai agonizzante dopo le inchieste di Tangentopoli. Né più né meno di quello che il Movimento di Grillo si sta proponendo di fare, con questa storia dell’eguaglianza fra i due principali partiti – PD e PDL – come il belloccio dei grillini, Alessandro Di Battista ha candidamente ammesso in questo post su Facebook (grazie a Il Merdone Quotidiano).

Poi però c’è un problemino e riguarda il rispetto delle Leggi e della Costituzione della Repubblica che chiunque ricopra incarichi pubblici è obbligato al rispetto.

Non si può urlare – giustamente e sacrosantamente – alla violazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione nel corso di questi venti anni funestati da una valanga di provvedimenti e di leggi ad personam e poi violarlo a loro volta con una scelta politica contra personam.

Se il regolamento del Senato afferma che nelle votazioni su vicende “personali” il voto si esprime segretamente, non si può pensare – alla vigilia di un voto dell’Aula di Palazzo Madama così importante – pensare – come qualche grillino ha espresso nei giorni scorsi – la volontà di cambiare il regolamento (quindi allungare ancora il brodo della decadenza!) e poi votare palesemente.

E questo non soltanto perché garantirebbe almeno un anno di vittimismo gratuito al Cavaliere ma proprio perché a leggi ad personam non bisogna rispondere con altrettante leggi contra personam, perché l’Articolo 3 si rispetta sempre. E non si può pensare di ragionare algebricamente, pensando che le violazioni dello stesso da parte di B. si compenserebbero con il primo provvedimento contra personam in questi venti anni.

Se il PD vuole essere veramente il partito sul quale fondare il cambiamento, come ha detto sabato Renzi intervistato dal direttore del TG di SKY Sarah Varetto, allora tale forza politica deve procedere con estrema linearità, persino rischiando la crisi di governo perché il rispetto della Carta Costituzionale e delle Leggi è ben più importante della stabilità di un esecutivo, rispetto che si attua non andando in gita sui tetti come hanno fatto i deputati pentastellati, bensì legifera in maniera coerente alla Carta e alle Leggi, a partire da quelle vigenti.

Certo se poi si dovessero manifestare i franchi tiratori in numero tale da salvare B. in aula sarà certamente una cosa grave.

Ma pensare di tirare avanti con un partito che ha paura di se stesso, con questa lotta interna che si è trasformata in una guerriglia indecorosa e che verrebbe soffocata da un voto palese, è forse ancora peggio della decadenza di B. (inevitabile comunque per il ricalcolo della pena accessoria dalla Corte di Appello di Milano), pur comprendendo che i 101-120 Dem che pugnalarono Prodi siano una ferita ancora aperta nel petto del PD.

Comporterebbe la fine di un partito che ha sempre sostenuto di essere dalla parte della Costituzione: perché se tu violi l’articolo 3 contro il tuo avversario storico, violi la stessa natura democratica del partito che hai costruito, un partito per il Paese e non un partito contra personam.

p.s. Il professor Onida, quello che secondo il Fatto sarebbe una specie di corazziere di Napolitano e quindi impegnato nel salvataggio di B., ieri su Repubblica – intervistato sulla vicenda della segretezza del voto – ha detto che sì, è vero che su questioni “personali” il voto d’Aula è sempre stato segreto, però il ramo del Parlamento potrebbe intendere questa votazione (sulla decadenza di un senatore) non su Berlusconi, ma sulla moralità della propria composizione (ramo del Parlamento) e quindi anche il voto palese potrebbe essere ammesso. Pur senza essere un costituzionalista mi permetto di dissentire dall’ex Presidente della Consulta, perché un simile giro di ruota assomiglierebbe maggiormente al classico giochino da azzeccagarbugli nel quale noi italiani siamo sempre bravi, pur di evitare di assumerci la responsabilità delle nostre azioni.

Per gli amici e simpatizzanti del Movimento Cinque Stelle, i quali stanno diventando sempre più bramosi di difendere l’art. 138 della Costituzione anche se meno attenti alle modiche che il loro capo vorrebbe portare, ad esempio sull’abolizione del vincolo di mandato, rimando a questo pezzo di Alessandro Capriccioli che meriterebbe di essere studiato in Parlamento, data l’ignoranza istituzionale che sta serpeggiando ultimante nei Palazzi della nostra politica nazionale. E nella risposta di Absinthe al post del noto collega c’è tutto il cortocircuito che a sinistra è avvenuto: siccome per anni Berlusconi ha stuprato la Costituzione e le Leggi allora per una volta – contro di lui – possiamo farlo noi. Io preferisco sempre stare dalla parte della Carta, liberamente.

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