Si fa presto a dire innovazione

 In POLITICA

Li vedi trascinare i loro cuccioli incapaci di stare fermi per più di trenta secondi, farsi largo con carrelli sempre sbilenchi, in accordo alla sacra legge dei Mall che prevede che soltanto un carrello della spesa su un milione funzioni a dovere, o passeggini utilizzati come porta borse e non come porta bambini. Sono i poveri tartassati della prima domenica dopo l’inizio dell’anno scolastico, costretti ogni anno a contribuire alle spese scolastiche con le più incredibili richieste.

Per ragioni di impossibilità a far altrimenti, anche noi siamo stati obbligati anche noi a trascorrere la domenica in un centro commerciale, complice anche una brutta giornata di fine estate.
Queste cattedrali del commercio di periferia, nati per dare un senso di comunità ai quartiere-dormitorio, sono straordinariamente invivibili la domenica.

Se c’è una cosa che proprio non dovevamo copiare dagli americani erano proprio i giganteschi Mall. Noi che abbiamo inventato il concetto di centro storico, con le nostre piazze, le nostre ville e le nostre chiese, noi che abbiamo inventato i comuni, abbiamo scelto – come via per la modernità – il peggio: i centri commerciali, dove sei di fatto costretto ad andare, se vuoi – in un colpo solo – sbrigare tutte le commissioni che ormai non riesci più a fare durante la settimana.
Dopo una prima capatina nell’immenso negozio degli sportivi, dove molti di noi, in preda ai sensi di colpa per i bagordi estivi, acquistiamo il materiale che ci permetterà di frequentare i corsi di fitness più adatti al miracolo che cerchiamo, cioè di tornare alla forma dei nostri venti anni, ci dedichiamo al corredo scolastico della bambina, per l’ultimo anno nella scuola dell’infanzia.

Quadernoni di un certo tipo ben definito, colori a pastello persino di una determinata marca che fanno sorgere molti dubbi sulle ragioni di tale scelta, le carpettine di un dorso ben preciso, le gomme, i temperini.

Certo piacerebbe sapere è stato consumato tutto il consumabile nei due anni trascorsi, ma sembra brutto chiederlo per evitare che le educatrici – hai visto mai la permalosità senza limiti degli esseri umani – possano persino offendersi, dato il vezzo – tutto italiano – di prendere sul personale ogni cosa.

Poi passiamo alle note dolenti: carta igienica, sapone liquido, rulli.

Trovo quasi umiliante che una scuola pubblica debba farsi rifornire dalla famiglie: ma dove vanno a finire le nostre tasse? Com’è che ogni inizio di anno mi si vengono a chiedere sempre gli stessi beni intermedi?

Confesso che mi rode un po’. Preferirei quasi che ci fosse una retta persino per la scuola dell’infanzia e che attraverso quella la scuola si potesse approvvigionare dei beni che le occorrono.

Di contro facciamo beneficenza persino alla mensa: dato che mia figlia è un tantino difficile col cibo (eufemismo!) è come se il comune di Roma ricevesse una bella donazione – ogni mese – dalla mia famiglia! Ci sarebbe da ragionare sugli sprechi: perché quando un bimbo non è presente il pasto deve essere pagato? Ho potuto personalmente appurare che al nord del nostro Stivale invece esiste una specie di meccanismo di buoni pasto: paghi quando vai a mensa. Considerando quante volte si ammalano i bambini forse un’area di razionalizzazione non della spesa pubblica ma degli sprechi potrebbe individuarsi proprio lì.

Intanto all’ipermercato siamo tutti lì a imprecare con le incomprensibili liste delle maestre, con i centimetri del dorso dello scotch o la larghezza del quadretto del quaderno. Poi apri i giornali, accendi il PC e scopri che al MIUR, il Ministero dell’Istruzione, ancora si crede alla favola dei libri digitali e dell’innovazione tecnologica nel nostre scuole, che in realtà già esiste nella mente di questi bambini perché loro sono già nativi digitali e certo insegnano persino a noi come utilizzare tavolette e lavagne multimediali. Mancano la carta igienica, i rulli e il sapone però a Viale Trastevere continuano a immaginare una scuola che soltanto una rivoluzione copernicana, culturale, procedurale e processuale, potrebbe mai disegnare.

Nel frattempo, mentre noi genitori ci scervelliamo a interpretare le richieste, i nostri cuccioli passano il tempo a giocare nei vari reparti dell’ipermercato come fosse un immenso parco giochi. Beati loro e beata la loro infanzia!
Esci con le tasche più alleggerite, pensi che comunque la scuola è ancora pubblica (conquista inestimabile della nostra società europea a troppo poco compresa dalle popolazioni) e poi ti trovi i bimbi che dopo aver scorrazzato in lungo e in largo per il Mall, hanno persino il coraggio di chiedere il giretto premio nel trenino interno!

Chiedilo al MIUR, mio caro, che qui spiccioli non ce ne sono più! O ti compro la carta igienica per i tuoi bisognini a scuola o giochi.

Tertium non datur!

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