Matthaeus sum

 In RELIGIONE

Chiunque di noi, ami la fotografia, ne abbia fatto un mestiere, un hobby, una passione, ammira Michelangelo Merisi, il Caravaggio, e il suo sapiente utilizzo della luce.

Alla domanda “Chi è Jorge Bergoglio?“, formulata da Antonio Spadaro, gesuita come lui e direttore della rivista della Societas JesuCiviltà Cattolica“, il Papa risponde prendendo ad esempio proprio il quadro del Caravaggio (a sinistra) e di Matteo, il peccatore, sul quale si è posata la scelta di Dio.

L’intervista del Papa al suo fratello gesuita, che qui potete scaricare in versione integrale  (grazie all’ANSA), è straordinaria – sia per chi crede che per chi non crede – e pubblicata oggi, 20 settembre, giornata nella quale si ricorda la fine del potere temporale della Chiesa, aggiunge suggestione all’evento.

La scelta di definirsi Matteo, il pubblicano intento a contare i suoi denari, di fronte alla scelta di Dio; il riferirsi proprio a questo quadro, che si trova insieme agli altri due del Merisi a San Luigi de’ Francesi a Roma, con quel dito che sceglie illuminato da un sapiente raggio di luce; quel “Matteo” con gli occhi riversi verso i suoi soldi incapace di alzare lo sguardo di fronte al Signore; dà la cifra dell’immenso dono (per chi crede) che la Chiesa Cattolica ha ricevuto dal suo Dio, con l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio.

A chi non è credente questo papa cambierà poco la vita: al più si potrà compiacere per il fatto che finalmente dopo il 1870 forse il potere temporale della Chiesa, sul nostro Paese, sta veramente terminando e non avranno più scuse i papisti dei Sacri Palazzi Laici per legiferare contra populum.

Ma per chi è credente, per chi si sforza di seguire Cristo dall’interno (o anche dall’esterno) della Chiesa Cattolica Romana, per chi ha sempre visto l’albero millenario della Chiesa pieno di foglie secche, polvere e incrostazioni del tempo e magari ha pensato che ciò fosse ineluttabile e inevitabile, come se il Medioevo non dovesse mai avere fine, ecco che allora l’intervista del Papa a Padre Spadaro e tutti gli altri gesti finora compiuti (che spesso sono stati persino ridicolizzati dai fondamentalisti atei e laici) assumono un altro significato.

Nello scuotere con forza il fusto della sua Chiesa, papa Bergoglio compie la vera rivoluzione che molti cattolici (e cristiani di ogni confessione che hanno a cuore l’unità degli stessi, secondo l’invito del Fondatore “ut unum sint“) stavano aspettando e cioè far in modo che l’Ecclesia Dei si rimetta sul cammino di chi l’ha pensata, fondata, chiamata, il suo Cristo, colui che non chiudeva le porte ai peccatori, alle prostitute, agli ultimi.

Anzi: li accoglieva.

Forse il Papa deluderà molta gente nel corso del suo ministero; probabilmente – data l’età (77 anni a dicembre) – non riuscirà nemmeno a veder compiere molti dei cambiamenti già in atto. Ma il solo scuotere questo albero, l’aver cominciato a far cadere rami secchi e foglie rattrappite, è di per sé la rivoluzione pacifica che molti stavano aspettando e che – se ci pensiamo bene – non è proprio una rivoluzione, bensì una restaurazione, un ritorno a quella Chiamata che duemila anni fa un ebreo fece al popolo, cambiando radicalmente le sorti della storia dell’umanità, capovolgendo i cardini di un società basata sulla forza e invitando a porre l’amore per il prossimo come base della convivenza civile fra i popoli.

Amando alla follia l’Argentina, ammetto che forse sono un po’ di parte rispetto a questo Pontefice: sta di fatto che nessuno prima di lui, nella storia millenaria della Chiesa, aveva così tanto ribaltato l’ordine del giorno precostituito che imperava, da tempo immemore, al di là delle mura leonine.

E nemmeno il suo grande predecessore Giovanni Paolo II, quello che per molti della nostra età è stato il Papa (Paolo VI e Giovanni Paolo I quasi non ce li ricordiamo), ha avuto la forza per abbattere certi steccati e forse perché nemmeno era il tempo giusto per farlo.

Bergoglio ha  la fortuna di trovarsi una Curia ormai ridotta a brandelli dagli scandali che l’hanno percorsa e quindi sta avendo gioco facile nel portare la gente dalla sua parte. “Chi sono io per giudicare?” – disse sull’aereo che lo riportava a Roma da Rio ad una domanda sui gay. “La Chiesa deve essere un ospedale da campo” – afferma nell’intervista di ieri – quello stesso ospedale che era diventato il popolo dei discepoli di Cristo, come sapientemente Zeffirelli ha ritratto nel suo Gesù di Nazareth, quello che per me rimarrà il più bel film sul fondatore della Chiesa e Dio uomo dei Cristiani.

Sembra incredibile ma tant’è: Francesco torna alle origini e ci appare rivoluzionario.

 

p.s. Mi riprometto di leggere di nuovo e con più attenzione queste ventinove pagine dell’intervista a Papa Francesco: pensare che siano state sintetizzate da qualche articolo in rete o da una paginetta sui quotidiani (per ovvie esigenze di spazio, s’intende) mi dice che forse – tra le righe – c’è ancora molto da studiare. E come uno scolaro di scuola elementare mi do autonomamente i compiti per il fine settimana. Buon weekend.

 

 

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