Una storia italiana

 In POLITICA

A Grosseto, durante il processo per l’inchino della Concordia, il Comandante Schettino ha accusato il suo timoniere di non aver eseguito i propri ordini, con il rispetto dei quali – a suo dire – non ci sarebbe stato lo schianto e quindi la tragedia.

In perfetto stile italiano, nel quale chi porta la massima responsabilità non paga mai, Francesco Schettino rilascia dichiarazioni spontanee (quindi senza farsi interrogare, come qualcuno più importante e potente di lui) perché ha ritenuto di dover precisare la dinamica tecnica della manovra.

Naturalmente sarà il Tribunale a dire se la ricostruzione di Schettino regge o meno (c’è un Ammiraglio che infatti la confuta) ma quello che colpisce – di fronte a un personaggio come l’ex Comandante della Costa Concordia – è l’assoluta sicumera con la quale Schettino continua a sostenere persino la bontà della sua scelta tecnica nell’effettuare la manovra.

Non si rende conto – e questa è un’offesa a chiunque di noi abbia indossato un’uniforme della Marina, militare o mercantile che sia poco importa – che la cosa più moralmente inaccettabile che ha compiuto è stato l’aver abbandonato la nave e i passeggeri alla loro mercé.

Nel famosissimo “salga a bordo, cazzo!“, del Capitano di Fregata Di Falco c’era lo sdegno di ogni uomo di mare che sa benissimo che chi porta la responsabilità suprema di un’imbarcazione lascia la nave per ultimo e soprattutto dopo aver fatto tutto ciò che fosse in suo potere per salvare vite umane.

Lo scaricabarile di fronte ai giudici (senza peraltro farsi contro interrogare), cercando magari di farsi riconoscere qualche attenuante generica per l’accusa di omicidio che gli grava addosso, è forse ancora più insopportabile dell’aver abbandonato la nave quella notte.

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