#Grillo vs. #Fazio: l’ignoranza del #M5S

 In MEDIA

Si fa fatica a credere che uno capace di scrivere un post del genere sia capo coalizione/movimento di un gruppo politico che si candida a cambiare il Paese e a governarlo.

Soprattutto non ci si riesce a capacitare che oltre otto milioni di individui abbiano votato per un movimento che non ha le minime basi per analizzare i temi economico-finanziari secondo l’ABC dell’economia aziendale. E pretende di governare l’economia pubblica.

Abbiamo visto domenica Fabio Fazio ribattere a Renato Brunetta che “lui la sua azienda la fa guadagnare“, di fronte alla follia di rinfacciargli un compenso perfettamente in linea con i valori del mercato televisivo (1.800.000 lordi a stagione TV).

Così – come se non bastasse il buon vecchio professore di economia (ex autocandidato al Nobel) – oggi torna alla carica Beppe Grillo scrivendo quanto segue:

Fazio dice che lui si guadagna i suoi soldi: “Questo programma è interamente pagato interamente dalla pubblicità“. Il suo contratto è stato rinnovato per tre anni per un importo di 5.400.000 euro, pari a 1.800.000 all’anno. Fazio di che parla? Quali guadagni si attribuisce?

Uno si aspetta che il comico genovese (seriamente comico oggi!) abbia a disposizione il conto economico della trasmissione, svelando finalmente le perdite che “Che tempo che fa” porta in carico ai già scassati conti della RAI.

Invece no: Grillo, pur di calcare l’onda della demagogia populista e fascista del quale è ormai massimo esponente, parla dei conti della RAI in generale:

La RAI è tecnicamente fallita, nel 2012 ha perso 245,7 milioni di euro e le previsioni per il 2013 sono di una perdita superiore a 400 milioni.

I ricavi della RAI sono di 1.748 milioni, dalla pubblicità entrano 675 mil. Nel 2012 gli incassi pubblicitari sono diminuiti di 209 mil e quest’anno forse ne perderà il doppio.

 La RAI ha incassato lo scorso anno 2.683 milioni e ne ha speso il 60% “per consumi di beni e servizi esterni“, un’allucinante cifra di 1.612,6 milioni.

Che c’azzeccano – detto in dipietrese – i conti generali dell’azienda? Cosa c’entra con il compenso di Fabio Fazio, con il costo del programma, con le due scenografie (persino questo ha da contestare Grillo, le due scenografie, scelta squisitamente artistica, come se lui in TV non ci avesse messo mai piede!)?

Chiunque abbia mai messo piede in un’azienda sa benissimo che le commesse si giudicano per quanto margine di guadagno riescono a produrre. Se “Che tempo che Fa” fosse condotto da un altro personaggio – interno come dice lui, che non vuol dir nulla nel mondo artistico – se venisse condotto persino da uno degli autori RAI o uno dei giornalisti RAI, è ipotizzabile che i ricavi pubblicitari relativi alla commessa “CHE TEMPO CHE FA” possano essere minimamente confrontabili con quelli con la conduzione di Fazio?

Stesso dicasi per Giovanni Floris e Ballarò, recentemente attaccati dal capo del Movimento Cinque Stelle. Forse Ballarò senza Floris sarebbe la stessa trasmissione e otterrebbe il primato di ascolti fra i talk show che recentemente ha conquistato, superando persino il Re dei Talk serali Michele Santoro?

Come giustificano un contratto che è un insulto alla condizione del Paese e ai lavoratori della RAI?” – si chiede Grillo. No caro Grillo, l’insulto ai lavoratori della RAI è il tuo, perché soltanto attraverso trasmissioni di successo come quella di Fazio spesso si evitano i licenziamenti collettivi che si avrebbero altrimenti.

Il problema però non è Grillo in sé: è l’incredibile codazzo di pecoroni che gli crede, che analizza i dati macro per attaccare i micro, che legge il compenso delle star televisive e lo confronta con il proprio, in barba a qualunque lezione base di aritmetica nella scuola elementare.

Mere e pere non si sommano“, ci dicevano a scuola ma nel magico mondo pentastellato, nel tempio dell’ignoranza di qualunque concetto di capitalismo, sia esso quello finanziario degli squali di Wall Street o quello sociale tedesco o quello familiare italiano: per Grillo e i suoi l’importante è gridare allo scandalo, senza nemmeno circostanziare le accuse.

Immaginate se ogni azienda in difficoltà, la Telecom o l’Alitalia, giusto per fare due grandi esempi nelle cronache di questi giorni, anziché essere competitive nelle gare che affrontano, cercando il margine necessario per andare avanti, se ne tirino fuori perché “i conti generali vanno male“, cioè rinunciando ab origine a fare il loro mestiere e aggravando ulteriormente i loro debiti.

Perché è questo forse vorrebbero Grillo, Casaleggio e la setta dei pentastellati: che ognuno rinunci a fare quello che sa fare e si sacrifichi a chiedere l’elemosina al semaforo.

Forse è questo il senso profondo di quell’idiozia della decrescita felice che continua a propinarci: decresciamo, impoveriamoci sempre di più, distruggiamo ogni cosa possa essere patrimonio del Paese, così lui, l’amico suo imprenditore ex candidato nelle liste vicine a Forza Italia, e quei quattro giovanotti talebani che il Parlamento sta ospitando (speriamo temporaneamente) potranno giganteggiare tra le macerie.

 

 

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