Il Divano e l’Indonesia. #amala

 In UN CALCIO DAL DIVANO

In questa settimana di cambiamenti per il mio ospite, anche la mia cara Inter ha cambiato volto. Di solito, quando si dice “È cambiata un’era” c’è sempre un pizzico di esagerazione e di retorica. Però stavolta è proprio vero: l’era Moratti è finita, perché l’Inter è di Thohir, magnate indonesiano.

Come ho twittato oggi dall’autobus che mi riportava a casa, dopo una bella mattinata trascorsa a Bergamo Scienza, il mio animo è diviso tra tristezza e speranza.

Tristezza, perché l’epoca che si chiude è stata, per l’Inter, davvero Pazza. E la pazzia è un gene del DNA di questa squadra; Moratti prende l’Inter dopo Pellegrini, in un periodo di bassi e alti. Si è caratterizzato per la signorilità, che in questi anni è venuta meno solo una volta, nei confronti del suo ex pupillo Ronaldo, in occasioni di un derby che non ho potuto vedere in diretta, perché in gita a Lisbona. E proprio da Ronaldo voglio partire in questa carrellata disordinata di ricordi, quasi un flusso di coscienza liberatorio. Ronaldo arrivò a Milano nel 1997; non ho mai visto nessuno fare quello che ha fatto Ronnie nella stagione 1997-98. Un talento incredibile, innestato in una squadra non perfetta, ma pazza e discontinua. Una squadra che in quella stagione avrebbe meritato il campionato, ed in effetti moralmente lo ha vinto. Poi, sempre in quella stagione, la magnifica galoppata in Coppa Uefa, con una serie di partite notevoli, culminata con il trionfo al Parco dei Principi sulla Lazio, un 3-0 con tre indimenticabili reti, Zamorano, Zanetti, Ronaldo. L’acquisto di Vieri, l’infortunio di Ronaldo, gli errori, primo tra tutti l’ingaggio di Lippi, assurdo da un punto di vista tecnico e soprattutto morale. La rinascita di Ronaldo, il suo tradimento, la follia di perdere l’accesso ad una finale Champions’ con due pareggi a San Siro per un gol in trasferta segnato dal Milan nello stadio di casa. La prima vittoria dopo Parigi, con la mia prima volta a San Siro, una finale in Coppa Italia con la Roma. Calciopoli, il quattordicesimo scudetto arrivato in una giornata di luglio in Scozia, quello che per certi versi sento più mio di tutti, per il suo significato morale. L’arrivo di Ibra, lo scudetto dei record, i due derby vinti (il secondo con il gesto dell’ombrello verso il traditore a cui accennavo prima), una squadra per me superiore anche a quella del triplete, con Crespo, Maicon, Cruz, Figo, Ibra, Cambiasso, ecc ecc. Le vittorie a ripetizione in Italia, e le sconfitte in Europa, quella con il Liverpool, che segnerà l’addio del Mancio, anche se… Un sms di Luca mi avverte nel novembre del 2007 di aver avvistato José Mourinho a Milano, in tempi non sospetti, con l’Inter in piena corsa per tutti gli obiettivi e saldamente prima in classifica. L’arrivo a Milano di José, accolto con scetticismo e sospetto da parte mia (lo ammetto, sono stato per lungo tempo una vedova di Mancini), la gioia per la vittoria in campionato, la rabbia per l’ennesima sconfitta in Coppa, ad opera del Manchester. Ed infine, la stagione magica, il 2009-2010, dopo la cessione di Ibra e l’arrivo di Eto’o, Milito, Snejder, Thiago Motta, Lucio. Inizio con un pareggio interno con il Bari, poi il Milan massacrato in un insolito derby di agosto (4-0, con il gol di Thiago Motta che rimane uno dei più belli visti in un derby), le incertezze in Champions’, con una vittoria incredibile a Kiev, la fuga in campionato, un paio di passi falsi (tra cui la sconfitta a Catania, quanto mai salutare), la vittoria con il Chelsea, con una partita fortunata all’andata, e dominata al ritorno. Il derby di ritorno, vinto nonostante un arbitraggio degno del ’98, la vittoria con il CSKA, la rimonta della Roma in campionato, il sorpasso subito dopo un pareggio a Firenze (con un “imparziale” guardalinee che esulta dopo il fischio finale per la mancata vittoria nerazzurra) ed il controsorpasso, vissuto su televideo a mezzanotte passata, visto che alla fine del primo tempo di Roma-Sampdoria, sull’1-0 per la Roma, mi sono addormentato sul divano. Intersecate con queste partite, la doppia sfida con il Barcellona, la squadra degli dei, una formazione ingiocabile, con Messi, Ibra, Xavi, Iniesta, che ci aveva asfaltato nel girone di qualificazione. L’aiuto degli dei del calcio, che si manifestano sotto forma di un vulcano islandese dal nome impronunciabile, che costringe i catalani ad un lungo viaggio in autobus al posto dell’aereo. La partita più bella dell’Inter di Moratti, il 3-1 vissuto a casa in mezzo ad una valanga di amici (Pedro, Snejder, Maicon, Milito, gli autori dei gol, non gli amici !), con Balotelli che butta a terra la maglia, il ritorno, con il magico Barça (la squadra a mio avviso più forte di tutti i tempi) che in ingiusta superiorità numerica (simulazione oscena di Bousquet) non riesce a fare un tiro in porta; il finale al cardiopalma dopo il gol in fuorigioco di Piquet, ed un gol regolare annullato ingiustamente, che avrebbe qualificato il Barça. Dopo il fischio finale, la faccia di Moratti che esulta e subito dopo si ricorda di avere accanto a sé il presidente Laporta e gli stringe la mano. Il magico maggio 2010, segnato dal Principe Milito, con la vittoria a Roma in finale di Coppa Italia con un Totti entrato in campo con l’unico scopo di farsi espellere. Siena, con una vittoria sofferta (assist del Capitano per Milito); l’affannosa ricerca del biglietto per Madrid; la sofferenza di entrare allo stadio appena un paio di minuti prima dell’inizio della partita. L’apoteosi, con la doppietta del Principe, e la “gioia infinita che dura una vita” di vedere il capitano alzare la Coppa. L’addio di José, l’arrivo di Benitez, il tetto del mondo raggiunto ad Abu Dhabi, e la scelta morattiana di esonerare l’allenatore per prendere il pupillo di Berlusconi, Leonardo. Infine, gli ultimi due anni, segnati da un sostanziale declino, per l’impossibilità di spendere, visti i conti non più brillanti della Saras, e gli indubbi errori in parte affettivi riguardo la sopravvalutazione di una squadra che deve cedere all’unico avversario che non si può davvero sconfiggere, l’entropia.

Da oggi però nasce la speranza, che l’arrivo di un socio di maggioranza indonesiano, possa portare una migliore capacità manageriale, aprendo nuovi mercati per il marchio Inter, e soprattutto che l’arrivo di nuovi capitali possa portare alla stadio di proprietà, e l’arrivo di giocatori in grado di riportare l’Internazionale sul tetto del mondo. Sono curioso di vedere cosa accadrà adesso, se il 30% di azioni rimaste in mano della famiglia Moratti consentirà a Massimo di restare presidente ancora per qualche tempo. E quali saranno le prime decisioni operative di Thohir.

Infine, un augurio, che l’Inter possa rimanere anche con Thohir PAZZA, che il gene della pazzia presente nel DNA di questa squadra non diventi un gene recessivo. La Pazzia, nel bene e nel male, è quello che rende questa squadra unica. #amala

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