Per sempre con Turi

 In LIFE

Aspettavano fieri ma terrorizzati in una piazza di uno sperduto paesino nella Lunigiana: erano stati rastrellati da loro coeatanei, quelli che combattevano dalla parte sbagliata, per citare lo storico discorso di Luciano Violante appena insediatosi Presidente della Camera dei Deputati nel 1996. I militari della Repubblica Sociale Italiana attendevano dai loro colleghi nazisti cosa fare.

Avevano catturato questi prigionieri, partigiani, nelle campagne vicine: non sapevano nemmeno quale fosse il loro vero nome poiché tutti avevano dei documenti falsi. Eppure tra loro vi era anche qualcuno da considerare “traditore“, perché aveva scelto la fedeltà al Re e non al Duce. Finalmente il comando locale delle Schutzstaffeln, le famigerate SS si fa vivo. Ormai i tedeschi non si fidavano certo più dei loro amici fascisti, non molto capaci di seguire alla lettera il dettato della guerra ormai perduta da Adolf Hitler. Così avevano spedito in forza le truppe dentro l’ex paese alleato, o meglio, a protezione di quella parte di Paese ancora sotto il comando di Mussolini che comunque non aveva forze armate sufficienti per contrastare l’ormai imminente arrivo dal Meridione delle truppe alleate.

L’ufficiale in comando delle SS guardò velocemente i documenti, appose qualche sigla, fece qualche telefonata e poi diede l’ordine.
Cento di quei prigionieri dovevano essere immediatamente deportati in Germania: forse non volevano lasciare tracce delle loro esecuzioni, come era stato fatto in altre occasioni, come ad esempio qualche centinaio di chilometri più in là, alle porte delle mura aureliane, lungo la via Ardeatina. Lì a Roma Erich Priebke aveva condotto la rappresaglia per l’attacco di via Rasella e aveva ucciso e dato ordine di uccidere 335 civili e militari italiani, eccedendo di cinque prigionieri al numero macabro di “Dieci italiani per un tedesco“, numero ritenuto congruo per vendicare la morte di un loro connazionale.

Lassù nella Lunigiana non andò così: i militari repubblichini divisero a gruppi di dieci i prigionieri, probabilmente per non sbagliare con i conti, non si sa mai con questi delle SS.

Raggruppati i prigionieri ne rimasero fuori due: nella presa di costoro avevano sì sbagliato i conti, ma per fortuna di quei due per eccesso. Gli ufficiali italiani e tedeschi discutettero il da farsi e cominciarono a esaminare i documenti. Sembravano autentici, nulla di particolarmente grave sembrava a carico di quei due: d’altronde non esistevano mica i super computer che oggigiorno ti conservano i tuoi dati fin dopo la morte.

Così presero la decisione di liberarli, lasciarli andare. I due si allontanarono velocemente dal luogo, guardando mestamente i loro colleghi che salivano sui carri bestiame nazisti per essere deportati chissà dove, increduli di essere sfuggiti alla repressione nazi-fascista.

Si salutarono e ciascuno prese la propria strada e la propria lotta per la liberazione e non seppero più nulla l’uno dell’altro.

Uno dei due – se ci fossero stati i nostri attuali database – si sarebbe scoperto che era un ufficiale della Regia Marina che aveva intrapreso la lotta partigiana. Infatti, una volta affondata la sua nave nel porto di La Spezia, proprio mentre ritornava in Liguria dopo una licenza, aveva deciso: non aveva più uniforme e berretto, sciarpa e sciabola, nulla. Tutto ciò che aveva a bordo ormai giaceva in fondo al Mar Ligure e non c’era nemmeno più un comando dove presentarsi, dato che l’Italia era spaccata in due.
Scelse allora con l’intelligenza e con l’amore verso la sua Patria e verso la sua gente: scelse di combattere dalla parte giusta, diventò partigiano, fece parte attiva del Comitato di Liberazione Nazionale che avrebbe aiutato le truppe alleate a sbattere fuori l’invasore tedesco, sconfiggere il fascismo di Mussolini e a riportare quel ridicolo Re al Palazzo del Quirinale, che per fortuna sarebbe durato poco sul Colle.

Quel partigiano, ex giovane Tenente di Vascello della Regia Marina, nemmeno trentenne, si chiamava Turi. Ed era mio nonno.

Ecco, dopo aver visto foto e immagini da Albano Laziale, con l’ennesima follia attorno al corpo di un criminale di guerra, volevo ricordare così perché nel 1943 ci fu una parte giusta e una sbagliata e che nel rispetto di tutti i morti, che a prescindere dalle fedi e dalle religioni è riconosciuto come diritto umano dalla comunità internazionale, non possiamo certo dimenticare cosa fece Erich Priebke e perché sarebbe stato meglio che in silenzio si fosse affrontata tutta questa vicenda della sua morte a Roma.

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