Voglia di stadio

 In MEDIA

Sarà che probabilmente abbiamo nostalgia dei giochi con le belve nel Colosseo, a qualche chilometro di distanza dalla tastiera dove sto zappando questo pezzo, sta di fatto che la società italiana – almeno quella che affannosamente si riflette sul web (statisticamente rilevante, suppongo) – è ormai diventata preda dello spirito degli ultras, come se vivessimo tutti in un immenso stadio di calcio.

Il blasfemo corsivo di Massimo Gramellini, che avevo sarcasticamente commentato qualche giorno fa, è stato l’occasione per comprendere un altro pezzettino di questa sindrome dei nostri giorni (o forse da sempre?) che ci sta attanagliando sempre di più. Basta leggere il tenore dei commenti sotto lo stesso Buongiorno oppure quelli che hanno accompagnato alcuni post critici, per capire che ormai abbiamo raggiunto un’alta permalosità e ci regaliamo sterili scontri continui.

Lo scienziato Alessandro Vespignani arriva addirittura a scrivere che l’articolo di Gramellini è l’esempio plastico dell’Italia che affonda, mentre il matematico Codogno, sul suo blog sul ilPost.it, teorizza che Gramellini ha paura di ciò che non conosce (e quindi denigra) perché “la cultura umanistica al più rimane ignorata, salvo quando Benigni declama la Divina Commedia, la cultura scientifica è temuta“.

Scienze umanistiche contro scienze sperimentali, religione contro laicismo, storia contro logica, matematica contro letteratura, politica contro società civile: non sono altro che facce della stessa medaglia, quella che ci trasforma continuamente “contro” qualcuno o qualcosa.

Totalmente inutile sottolineare il particolare taglio giornalistico (il corsivo, appunto) del pezzo: ormai era stato stabilito che Gramellini – dall’alto della sua superiorità morale – aveva pestato una merda, perché aveva osato ironizzare sulle conclusioni scientifiche di uno studio. Anzi, quella non era proprio ironia, non era satira e anche se lo fosse stata non doveva proprio essere fatta perché superficiale, non riportando fedelmente lo studio. C’è stato persino chi si è sorpreso sul fatto che chi scrive non sia stato querelato per aver ironizzato sul caffè di traverso del direttore de Le Scienze, salvo poi naturalmente comprendere la scelta magnanima di questo ultimo di non curarsi di qualcuno, evidentemente, palesemente e scientificamente inferiore. Cosa peraltro molto vera da un punto di vista scientifico.

In un altro blog si è osato esprimere che il “cuore che non è composto da circuiti e microchip“, suscitando l’immediata correzione scientifica che in realtà esso è composto di “cardiomiociti” e che non “governa nessun sentimento“, ignorando – volutamente voglio sperare – che la parola cuore non si riferisce – almeno nella lingua italiana – soltanto al muscolo cardiaco ma anche a tutta quella complessa sfera dei sentimenti, l’amicizia, l’amore, l’affetto, che per semplicità appunto chiamiamo cuore. D’altronde “al cuor non si comanda” è un’espressione che non si riferisce certo al fatto che si ha a che fare con un muscolo involontario (reminiscenze della scuola elementare!), bensì al fatto che quando siamo innamorati, quando sentiamo un’aritmia particolare o una tachicardia non spiegabile attraverso una documentabile, sperimentale e riproducibile patologia cardiovascolare, è semplicemente, umanamente e banalmente dovuto al fatto che proviamo sentimenti.

Da parte mia (nonostante studi molto più vicini a quelli scientifici che a quelli seguiti da Gramellini) avevo colto questa ironia persino nel famigerato corsivo del vice direttore della Stampa, pur non essendo un cultore o un monopolista dei buoni sentimenti: non poter ingabbiare i sentimenti o spiegare le relazioni attraverso un algoritmo. Invece no, è bastato il titolo “Abbasso gli algoritmi” a scatenare il putiferio. “Possibile che lui non sappia che anche quando si fa il caffè segue un algoritmo?” – ha ironizzato un commentatore sulla Stampa. “Vecchio giornalista per un vecchio giornalismo in un paese vecchio” – ha chiosato un altro!

La permalosità e l’astio venuti fuori in questa occasione mi hanno un po’ lasciato l’amaro in bocca: si può scherzare su tutto, sulla religione, sul Papa (quante volte abbiamo visto le vignette di Papa Benedetto XVI ritratto come un Pastore Tedesco?), sul Dalai Lama, sulla politica, sulla storia, sulla televisione, su tutto, tranne che sui risultati scientifici di uno studio.

In quest’ultimo caso il comico, il giornalista, il blogger, il commentatore commette una sorta di reato di lesa maestà, un vilipendio alle competenze e al lavoro degli altri. Invece quando si ridicolizza il lavoro di una pontificia commissione, di un gruppo di storici, di una redazione giornalistica di qualunque media, non si stanno mettendo alla berlina altri lavoratori. Per non parlare quando si parla di sprechi che sono sempre dall’altra parte: le Province, i Ministeriali, le auto blu, le pensioni (degli altri). Quello che non comprendo è spreco mentre il mio lavoro, le mie risorse, i miei finanziamenti sono sempre e comunque ben spesi.

Se conoscessi tutte le lingue del mondo“, giusto per parafrasare il famoso passo della Prima Lettera ai Corinti sulla Carità, vorrei capire se negli altri Paesi il dibattito fra i diversi tipi di scienze (sperimentali, umanistiche, esatte, teologiche, filosofiche, politiche, mediche, …) verte anche lì in questo perenne derby calcistico che ormai in Italia ci siamo imposti, come se non sapessimo fare altro che urlare l’uno contro l’altro.

Nell’attesa di capirlo vi lascio con una bella e divertente poesia di Nino Martoglio, mio conterraneo, che spiegava in parole povere e semplici cosa sia l’amore, il sentimento, il batticuore che una ragazzina cominciava a provare. Mi si concederà la battuta che magari un giorno ci potrà persino essere l’algoritmo scientifico che spiegherà l’amuri, ma concorderete forse con me che sperimentarlo personalmente e senza l’ausilio di nessun calcolatore sarà sempre più affascinante:

 

L’AMURI

Mamma, chi veni a diri ‘nnamuratu?

…Vo’ diri… ‘n omu ca si fa l’amuri.

 E amuri chi vo’ diri?

Jè un gran piccatu, è ‘a bugia di l’omu tradituri!
Mamma…, nun è tantu giustu ‘stu dittatu… ca tradimenti nun n’ha fattu, Turi!

Turiddu?.. E chi ti dissi, ‘stu sfurcatu?

Mi dissi… ca pri mia muria d’amuri!
Ah, ‘stu birbanti!… E tu, chi ci dicisti?..

Nenti!… Lu taliai ccu l’occhi storti…

E poi?

Mi nni trasii tutta affruntata!…
Povira figghia mia … Bonu facisti!….

E … lu cori?

Mi batti forti forti …

Chistu è l’amuri, figghia scialarata!

 

 

 

 

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