Se i conti con la storia non riusciamo a farli

 In POLITICA

Per fortuna che ci sono stati Vittorio Zucconi – ieri pomeriggio a Radio Capital – e Corrado Augias – ieri sera su La 7 e che vedete nel video su questa pagina – per farmi sentire meno solo di fronte ad un sentimento di tristezza che – dopo la normale scarica di adrenalina, che prende di fronte agli schermi televisivi quando si assiste ad un evento storico – mi ha pervaso l’animo.

Poi stamattina ho visto le immagini dell’assalto fascista e squadrista a Luca Bertazzoni, giornalista della redazione di Servizio Pubblico di Santoro, e ho ripensato alla giornata di ieri in Senato, con Gasparri e Bondi che attaccavano i senatori a vita, con Piano in prima fila (pare per una frasetta raccolta nei corridoi di Palazzo Madama con la quale l’archistar commentava che non si sarebbe perso per niente al mondo quel voto), Minzolini che attaccava il Quirinale, Caliendo, Palma e qualche altro legale pasdaran di Berlusconi, nominati al Senato per difenderlo e proteggerlo anche nelle aule parlamentari, che intraprendevano una battaglia procedurale a colpi di cavilli con un magistrato, Piero Grasso, ormai passato alla politica e che ricopre la seconda carica dello Stato.

Ho compreso perché quella sensazione di tristezza, di mestizia, che mi aveva preso ieri pomeriggio e ieri sera, mentre leggevo, guardavo o twittavo sulla decadenza di Berlusconi. Era dovuta alla consapevolezza che il nostro popolo non ha mai fatto i conti con la propria storia, a differenza di altri paesi con in testa la Germania, che hanno preso le distanze dalle derive totalitarie di alcune forze politiche interne e le hanno poste ai margini della politica.

In Germania ciò è avvenuto sia con la CDU-CSU che con la SPD, tanto per prevenire critiche che dalla destra populista sono solite arrivare. Da quando è stata costituita la Repubblica Federale di Germania i tedeschi occidentali (e poi tutto il popolo tedesco unificato) hanno vissuto con un senso di colpa collettivo ciò che la deriva nazionalsocialista aveva portato in Europa e nel Mondo. Hanno provato su loro stessi la vergogna di essere stati capaci di portare, nel centro dell’Europa civilizzata, la culla delle maggiori e più avanzate civiltà del pianeta, fulcro della maggiore e intensa letteratura  e filosofia mondiale, il germe del totalitarismo, l’onta delle leggi razziali e del razzismo, lo sterminio del popolo ebraico come programma politico, l’annientamento dei diversi, dai disabili agli omosessuali, l’esaltazione dell’uomo bianco e ariano come fondamento della civiltà.

Tutto questo in Germania è accaduto, caricandosi di questo peso storico. Il risultato politico è stato che nella Germania le forze neonaziste sono state rifiutate dalla CDU-CSU quando avrebbero consentito al partito ora guidato da Angela Merkel di contrastare efficacemente la SPD di Schroeder e quest’ultimo – comprendendo l’illusorietà di una proposta politica agganciata all’estrema sinistra di Die Linke – ha avuto il coraggio di rompere con il residuato comunista tedesco e formò un governo con le forze ambientaliste, forze molto più mature delle loro sorelle verdi di casa nostra.

Nel nostro Paese, che è stato loro gemello nel disastro europeo del secondo conflitto mondiale, non soltanto si è dovuto attendere il massacro dei carri armati in Ungheria per far sì che il Partito Comunista cominciasse ad affrancarsi da Mosca e trovasse molto dopo – con Enrico Berlinguer – un segretario che fosse finalmente capace di cantarne quattro al PCUS dopo il colpo di stato polacco nel 1981, con la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, che chiudeva il cerchio con un’altra – e forse persino più importante – dichiarazione del segretario più amato sulla sicurezza sotto l’ombrello della NATO che con i carri armati dell’Armata Rossa.

Ma mentre la sinistra si affrancava dai suoi demoni e dai suoi totalitarismi, dall’altro lato accadeva altro: non soltanto lo sdoganamento formale del Movimento Sociale Italiano con l’appoggio a Gianfranco Fini nella campagna elettorale del 1993 nella Capitale, ma soprattutto una progressiva deriva di Forza Italia prima, del Popolo della Libertà poi e di nuovo Forza Italia in questi giorni, verso una destra di nostalgia fascista, mussoliniana, muscolare che pensavamo aver sconfitto con la Resistenza e che invece è ancora viva e vegeta non tra i partiti ma fra la gente. Riscuotendo ancora molti consensi.

A parte il tizio con la bandiera celtica, è tutto il linguaggio sia del Capo che dei suoi gerarchi, a parlare una lingua che in una nazione europea e civile ci dovrebbe fare collettivamente vergognare.

Gli azzeccagarbugli in aula, perfetta e plastica dimostrazione del perché Alessandro Manzoni coniò quel termine, lo sfregio delle istituzioni repubblicane (dal Parlamento al Quirinale) e della giustizia (incredibile solo a pensare all’incredibile campagna di stampa contro i giudici del processo Mediaset), l’incredibile accostamento fra Magistratura Democratica e Brigate Rosse, con quell’effige di Berlusconi ritratto come quella famosa e terribile immagine di Aldo Moro processato dalle BR (peraltro a nemmeno duecento metri da quella via Caetani dove il corpo del Presidente della DC fu ritrovato dopo i 55 giorni di prigionia): abbiamo assistito ad una delle più tragiche, drammatiche e vergognose pagine della nostra storia repubblicana e anche unitaria, dove non c’è proprio nulla da gioire né da festeggiare se il popolo italiano ha dovuto aspettare che un delinquente venisse sbattuto fuori dal Parlamento in forza di una condanna, mentre addirittura i sondaggi lo danno ancora incredibilmente avanti (se l’alleanza con il Nuovo Centrodestra si riformasse alle prossime elezioni).

Ci sarà da festeggiare qualcosa quando anche noi, come i nostri alleati e vicini tedeschi, riusciremo a chiudere definitivamente con la nostra storia di popolo immaturo e irresponsabile e che coltiva – per sfuggire alle proprie responsabilità – il culto della persona. Saremo sicuramente in piazza quando finalmente si comprenderà che il conflitto di interessi, che ancora oggi non è pienamente compreso dalla maggioranza degli italiani che lo ritengono riferibile solo al Cavaliere e che invece riguarda ciascuno di noi, è il male che affligge la nostra Italia del XXI secolo, dove si confonde ciò che è e deve rimanere privato con cioè che è pubblico, dove una condanna di un uomo viene propagandata come colpo di stato, senza forse rendersi conto di cosa sia veramente un golpe, non certo l’applicazione rigorosa e doverosa di una legge dello stato.

Se un giorno gli italiani finalmente comprenderanno cosa sia l’etica pubblica, se percepiranno se stessi all’interno di una comunità solidale, dove non c’è un unto dal Signore, un uomo che si ritenga legibus solutus, se finalmente avremo dei giornalisti di destra e non dei pappagalli di questo o quel leader politico, allora probabilmente scenderemo per le vie della Capitale a festeggiare.

Ma fino a quando avremo le scene di ieri, con un giornalista che viene menato per la sola domanda di chiarimento sulla croce celtica, con il direttore di uno dei più antichi settimanali italiani che riesce a far perdere le staffe a un galantuomo come Corrado Augias, con un manipolo di senatori che arrivano a deridere personalità importanti della nostra cultura e della scienza, con un giornalista prestato alla politica che attacca il Capo dello Stato, fino a ieri lisciato perché si dava per scontato concedesse qualche salvacondotto al loro capo, allora non ci sarà proprio nulla da festeggiare.

Perché non è la decadenza dal Senato, la sua uscita dalla scena parlamentare e persino da quella politica se volesse andare via, a risolvere i problemi di noi italiani: sono molto più radicati, sono costituiti dalla nostra incapacità di trovare soluzioni e creare opportunità, aspettando – per diritto divino – che siano alcuni unti dal Signore a farlo in nostra vece, salvo poi appenderli a testa in giù a Piazzale Loreto.

E quella fine non la auguriamo a nessuno, nemmeno a Berlusconi: il Cavaliere farebbe bene a godersi soldi, donne, figli, nipoti e Dudù. Ma noi – che non abbiamo le stesse opportunità economiche – vogliamo aspettare forse che un altro uomo della Provvidenza ci faccia ballare il tango per altri venti anni?

 

p.s. A volte penso che ci sia un patto tacito fra Silvio Berlusconi e Il Fatto Quotidiano. Mi chiedo cosa accadrebbe, se il Cavaliere veramente se ne andasse ad Antigua con la Pascale e il cagnolino, alla linea editoriale del Fatto, che ha i suoi maggiori giornalisti capaci soltanto – con la loro pretesa di essere gli eredi di Biagi, Montanelli e Gaber – di infangare la memoria e il ricordo di due immensi giornalisti e un grande uomo di spettacolo.

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