#Madiba Vive

 In POLITICA

Il mio studio catanese si trova al quarto e ultimo piano di una piccola palazzina al centro di un paese etneo, Mascalucia, dal quale è possibile ammirare tutto il Golfo di Catania. In inverno, quando il cielo è molto terso e si colora di quell’azzurro meraviglioso, si arrivano persino a scorgere le ciminiere di Priolo, nella zona industriale del siracusano. Quello studio, fino al 1999, era il soggiorno dei miei nonni, dove Turi, mio nonno, trascorreva molto tempo, fra la riparazione di qualche oggetto, i suoi libri, il quotidiano e la sua grande passione per la Settimana Enigmistica. E soprattutto per lo sport.

Quando nel 1984 stavano per partire i Giochi Olimpici di Los Angeles avevo appena finito la seconda media. Chiesi al nonno per quale motivo l’Unione Sovietica e gli altri paesi del Patto di Varsavia avevano deciso il boicottaggio. “È una manifestazione sportiva!“, pensavo.
Nonno Turi mi raccontò allora che lo sport aveva sempre avuto una valenza politica, anche e soprattutto ai tempi della sua gioventù, quando la forma fisica era anche sinonimo di potenza militare.

Praticava salto con l’asta e conserviamo – gelosamente – alcune foto e alcuni pezzi di giornale con molta tenerezza.

Mi raccontò che a partire dal 1968, anno delle Olimpiadi a Città del Messico, quella manifestazione era diventata una vetrina molto importante: tutto il mondo la guardava in TV e quindi i messaggi politici potevano essere veicolati attraverso una protesta eclatante.

Lo stesso era accaduto a Monaco, quattro anni dopo, con le Olimpiadi insanguinate.

Mi raccontò poi, il nonno, che nel 1976 a Montreal i giochi vennero boicottati da un nutrito gruppo di paesi per il fatto che la Nuova Zelanda aveva giocato una partita di rugby in Sudafrica contro una squadra composta soltanto di bianchi: il Comitato Olimpico Internazionale non prese posizione, con una pilatesca decisione presa – secondo alcuni – sulla base dell’assenza del gioco della palla ovale dalle discipline dei Giochi. Il resto lo conosciamo: Mosca e Los Angeles.

Fu così che i Giochi dell’America di Reagan, della città luminosa sopra la collina, furono nella mia mente sporcati da questo racconto, anche se poi – essendo un bambino – la competizione e l’amore per lo sport presero il sopravvento.

Dopo quel racconto scesi un piano (noi abitavamo al terzo) e presi la vecchia enciclopedia GE20 della De Agostini: ne avevamo due, di enciclopedie. La prima, edita dalla Curcio, la usavamo per le ricerche babbe, cioè quelle che in base a non so bene quale criterio noi stabilivamo fossero di bassa priorità. La GE20, invece, era l’enciclopedia per le cose serie, il nostro google ante litteram, dove cercavamo le risposte alle nostre curiosità.

Scoprii così che nel Sudafrica vi era l’Apartheid, la segregazione dei neri da parte dei bianchi. Fu scioccante. Lessi allora di un politico nero, attivista per i diritti dei neri, che era stato incarcerato venti anni prima: Nelson Mandela.

Qualche anno dopo, quando Madiba fu scarcerato, gli fu conferito il Nobel per la Pace e poi fu eletto con un’enorme maggioranza Presidente del Sudafrica, ero già grande e naturalmente osservavo con occhi più maturi gli eventi mondiali.

Il resto è storia, tutto il mondo ha conosciuto la grandezza di questo uomo, il suo sorriso che a me – con quelle rughe e i capelli bianchi – ha sempre ricordato nonno Turi (erano quasi coetanei, essendo mio nonno nato nel 1915 e Mandela tre anni dopo).

Il mondo che si autodefiniva civile e che però aveva eliminato la discriminazione, in quella che si autodefinisce la più grande democrazia del pianeta, soltanto alla fine degli anni Sessanta e con un Presidente che stava alla Casa Bianca dopo che il predecessore era stato freddato a Dallas, salutava l’ascesa di quell’uomo di colore.

Mai e poi mai avrei immaginato che nel mio Paese, nella mia Italia, mentre il Sudafrica si liberava dalle grinfie del mostro del razzismo, sarebbe emersa una forza politica xenofoba e sarebbe persino stata al Governo della Nazione. Noi che ci pompiamo definendoci la culla del diritto, soltanto perché un antico imperatore, Giustiniano, secoli e secoli fa, riformò il Codice Romano, abbiamo permesso che un esponente di un partito di governo, del nostro governo, osasse rivolgersi verso gli uomini di colore chiamandoli “bingo-bongo“. E come se non bastasse, due decenni dopo, abbiamo persino avuto attacchi razzisti nei confronti di un ministro di colore di questa bistrattata Repubblica e il capo di un movimento politico, da oltre otto milioni di voti, in forza di una sua precedente professione artistica, ha persino invitato le forze dell’ordine a dare una lezione poco ufficiale ai clandestini per rimandarli a casa e dissuaderli dal permanere nel nostro Paese.

A volte ho come la sensazione che noi in Italia non ci rendiamo conto di quale immensa fortuna abbiamo avuto. Non ci sono “grandi figli” da celebrare, “padri di un intero continente” da ricordare, “esempi” che possano essere citati da un presidente nero dall’altro del mondo. Allo stesso tempo penso che il troppo benessere, un conquista per la libertà individuale, sociale ed etnica che ormai è sbiadita nel tempo e un benessere degenerato in vizi, ci abbia fatto dimenticare che lontano da noi, nel Continente nero che cantavamo contenti ballando l’hully-gully, un uomo mite, in una prigione su un’isola, muddichedda doppu muddichedda, ha costruito la libertà per il suo popolo e un esempio per ogni altro sulla terra. Noi, il popolo mugugnante, che ritiene diritti inviolabili e sacri quelli di possesso su un certo numero di mattoni, per le case in cemento, brutte e prive di senso estetico, che costruiamo nel timore che il “lupo cattivo” le spazzi via con un sol fiato, dovremmo inginocchiarci di fronte a questo immenso gigante della Storia che salutiamo dopo 95 anni di lotta.

Il suo primo atto politico fu la nomina di De Klerk, il suo predecessore e sfidante bianco, come Vice Presidente: dimostrò coi fatti che soltanto attraverso il perdono, quando si è ottenuta la giustizia, un intero popolo avrebbe potuto ricominciare il proprio cammino.

Resteranno nella storia, come ha detto Obama ieri sera, memorabili e altissimi discorsi di Mandela.

Ma una cosa  lo ha contraddistinto, come spesso i grandissimi uomini delle aree più povere e depresse del pianeta: il rapporto con l’istruzione.

Madiba era un uomo che riteneva l’istruzione, la scuola pubblica, non una voce del bilancio statale, una “tabella” come si chiamano gli astrusi e incomprensibili allegati alla Legge di Stabilità.

Ma la più formidabile arma per l’emancipazione dell’essere umano.

Siamo molto fortunati a vivere nell’era di internet, di youtube, delle telecomunicazioni. Perché ogni volta che sentiamo il germe del razzismo, uno dei più odiosi crimini contro gli altri esseri umani che possa mai concepirsi, abbiamo così l’occasione di sentire, ascoltando direttamente la sua voce, le parole di questo uomo giusto.

E quindi ringraziarlo.

Grazie #NelsonMandela Grazie #Madiba

Recommended Posts
CONTATTAMI

Per qualunque informazione scrivimi e ti risponderò al più presto possibile.

Not readable? Change text. captcha txt
0
VINCENZOPISTORIO.COM