New York aspetta

 In EAST RIVER

Venti giorni in Italia e non ho ancora capito che effetto mi fa. O che effetto mi dovrebbe fare. Lasciare New York non è mai semplice, Michael Stype aveva ragione. Mai, mai semplice. E io non volevo tornare a Roma. Ma ora quasi non riesco a stare lontana da questa Roma che è come una ferita che mi piace accarezzare.

Un lavoro qualunque a Berlino è sempre meglio che un lavoro qualunque a Roma

New York aspetta già, col freddo, la neve, i caffè lunghissimi e i libri in borsa, accanto alle scarpe da ginnastica, e questo anno nuovo che qui stenta a partire si lancerà presto nella sua lunga corsa. Un anno da costruire ancora, ma con basi reali come il visto sul mio passaporto, mentre un anno fa cominciavo l’anno a Berlino con solo la decisione nella testa: andare via da Roma. Niente in mano, solo un biglietto di ritorno da Berlino e un lavoro qualunque a Roma, una Roma da attraversare ogni giorno e con cui fare la guerra ogni tanto. Berlino mi ronzava nella testa, ma cosa fare a Berlino? “Qualunque cosa” forse non era abbastanza. Ma dovevo lasciare Roma e allora un lavoro qualunque a Berlino è sempre meglio che un lavoro qualunque a Roma. Almeno poi c’è la vita, non la guerra…

Oppure, un momento! Ci sarebbe New York. La proposta è arrivata verso Pasqua. Certo sarebbe un po’ come ricominciare daccapo, i tuoi titoli valgono e non valgono, cioè noi ti vogliamo, New York sembra fatta apposta per te e tu potrai fare ricerca, scrivere e insegnare, ma certo dovrai anche prendere un titolo americano se vuoi entrare in questo mercato, quindi ci sarà un po’ da faticare … D’accordo. New York sia. New York, New York…

Ecco l’Italia di oggi vista da lontano: un Paese in scadenza e dai costi imprecisi

New York aspetta, ma è a Roma che io comincio l’anno. Gli amici di sempre sono uguali e diversi: alcuni comprano casa, altri hanno la valigia sul letto e il viaggio è lungo, anche se non quanto il mio. Cambridge e Oxford: un po’ li invidio perché saranno meno lontani di me, ma New York mi manca già, in un certo senso. Loro sono contenti di andare, ma sento anche la rabbia di non poter rimanere. Non parlano più di politica loro, mentre dalla politica dipendono tutte le pratiche che io devo sbrigare. C’è una tassa, per esempio, di cui si sa la scadenza ma non l’importo. Ecco l’Italia di oggi vista da lontano: un Paese in scadenza, e dai costi imprecisi.

Questo Paese è un disastro”, mi dice Zak, russo di origine, tedesco di adozione e Ph.D. candidate a Yale. Lo incontro a Garbatella il 2 gennaio. Laureato in lingue straniere (tra cui l’italiano), ha studiato un anno a Napoli, ed è dottore di ricerca in anglistica a Berlino. Anche lui ha bisogno del titolo americano. Quello tedesco vale addirittura meno del mio dottorato italiano. Zak passa il capodanno a Roma, come me, da amici, come me. Un’amica comune, americana trasferita a Berlino, ha mandato un messaggio a entrambi, oggetto: you two should meet! Colgo immediatamente l’occasione per esplorare le ragioni di quello should. Zak, mi accorgo subito dalla sua voce, io l’ho brevemente incontrato a casa di Arielle a Berlino esattamente un anno fa. C’erano troppa gente e musica troppo alta per fare realmente conoscenza. E poi avevo evitato quel tizio che mi aveva parlato in italiano, forse un altro tedesco che voleva far sfoggio delle poche parole che sapeva. Invece Zak l’italiano lo conosce davvero. Ha scritto anche una parte della tesi di dottorato in italiano. In quel caffè di Garbatella mi mostra un libro con le poesie di Brodsky, in Russo con traduzione a fronte. Leggiamo insieme le “Elegie romane”, e noto subito che sono dedicate a qualcuno che conosco personalmente. Piccolo mondo, sei piccolo anche se sei moderno! Nel suo italiano impeccabile, con un’inflessione volutamente romanesca, Zak mi racconta che il poeta ha vissuto a lungo in Italia e che aveva amici e amanti che sono entrati nelle sue poesie italiane. Io penso che un giorno i miei amici saranno nei miei racconti, o io sarò nelle loro poesie forse, e che la scrittura ci avvicinerà tutti, anche se saremo lontani. Berlino-Roma-New York sono sillabe dello stesso poema. E dopo Berlino e Roma dico a Zak che ci vediamo a New York tra qualche giorno se passa di là e lui risponde: vediamoci a New York!

E New York, intanto, aspetta.

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