E il rottamatore #Renzi scoprì la lentezza

 In POLITICA

Non è nemmeno trascorso un anno da quando Pierluigi Bersani ricevette l’incarico esplorativo dalle mani del Capo dello Stato, che è l’unico punto fermo in un anno di legislatura, e ancora risuona forte l’eco delle grida che l’allora Sindaco di Firenze, ormai quasi decaduto, Matteo Renzi, gridava in ogni occasione e davanti a ogni microfono: “Fate presto! Il Paese non può aspettare!“. Con il solito piglio del rottamatore, di colui che va alla velocità della luce, Renzi stimolava il proprio partito – ormai allo sbando dopo la delusione elettorale – a sbrigarsi per la formazione del governo e gli adempimenti costituzionali per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Colpisce quindi – a chi lo ricorda sempre in accelerazione – l’improvviso rallentamento di un uomo, che ha fatto della fretta e della rapidità di decisione una sorta di mission e di identità politica: una frenata che avviene proprio dopo aver prodotto una bestiale accelerazione con la crisi del Governo uscente guidato da Enrico Letta.

Il Matteo Renzi che abbiamo visto ieri, prima al Quirinale e poi al Comune di Firenze, è apparso un altro politico: anzi è apparso un politico, nel senso proprio aborrito dall’ex primo cittadino della seconda capitale d’Italia.

Ha scoperto, Renzi, che non era così semplice la sua ascesa a Palazzo Chigi: l’uomo che voleva che l’eventuale Gabinetto Bersani nascesse in due giorni, nonostante le ferite ancora aperte della campagna elettorale, ecco che vede con i propri occhi che la politica romana non è sempre lenta per chissà quali arcani motivi. A volte la lentezza è dovuta proprio alle difficoltà di soluzione dei principali nodi politici e forse Renzi potrà comprendere che non era l’incapacità di qualcuno a non far partorire le soluzioni, ma proprio le difficoltà nate con il voto di un anno fa.

Non è nemmeno aiutato dalla cosiddetta società civile (la gente!), quella che è sempre buona a lamentarsi con la classe politica e infatti lo appoggiava quando proponeva la rottamazione: adesso che è lui alla plancia di comando ecco che a poco a poco molti si sfilano, cominciando a dire dei no pesanti. Dagli imprenditori che venivano osannati da TV e giornali quali gli uomini e le donne del “fare” agli outsider che spesso preferiscono rimanere in disparte, anziché giocarsi le proprie carte e provare a cambiare le cose.

Ciò è vero specialmente a sinistra, dove si vive sempre in una sorta di Ecce Bombo perpetuo: “Mi si nota più se non vengo o se vengo e mi metto in disparte?“.

In una situazione nella quale il Partito Democratico rischia seriamente una scissione, con un Governo Renzi che sembra più spostato a destra che a sinistra, con i soliti celopuristi del Movimento Cinque Stelle che sanno dire solo di no e rinunciano persino a presentare proposte alternative al Presidente del Consiglio incaricato, ecco che Matteo Renzi si scopre – per la prima volta da quando lo conosciamo a livello nazionale – in una situazione a lui nuova: quella di prendere tempo.

Suggestiva sarebbe stata l’ipotesi paventata la scorsa settimana da Giuliano Ferrara, con un Governo “non negoziato” che si presentava alle Camere e “chi ci sta ci sta“!
Peccato che la realtà spesso è assai più complicata da quella che dalla strada possiamo osservare e che la nascita di un Governo, specialmente per le ferite che si porta dietro dopo la fine del precedente gabinetto, non è sicuramente così semplice.

Se poi aggiungiamo la reazione non proprio entusiasmante non soltanto della base del PD ma soprattutto di tutto quel popolo delle primarie che continua a essere incantato dalla partecipazione alla scelta del proprio governo, ecco che la frittata è fatta. Nessuno ormai vuole più andare a votare e la lezione sarda è lì a ricordarlo: astensionismo record, partiti al minimo storico, legittimazione popolare bassissima per chi vince le elezioni e soprattutto incosistenza totale degli outsider (come già Alfio Marchini a Roma anche Michela Murgia ha fatto flop. E se la doppia cifra è arrivata si deve tenere conto – come per gli altri – che il 48% dei sardi non è andato a votare).

E quindi persino qualche giorno di più, per consumare i riti dell’aborrita Roma, è bene spenderli, proprio come hanno fatto tutti gli altri.

Buffo, vero?

p.s. Se è vero – come sostenono alcuni osservatori – che gli undici senatori “cosentiniani” di GAL entreranno in maggioranza temo che la più grande novità di questo Gabinetto rimarrà soltanto l’età del Presidente del Consiglio

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