Il nostro sole, la nostra vita

 In LIFE
Ogni volta che mi trovo a stendere i panni dal mio balcone, che si affaccia con uno sguardo lungo tutto il Golfo di Catania, fin alla punta di Augusta e quasi si scorgono in lontananza poggi e colline nei dintorni di Siracusa, mi tornano in mente alcune discussioni – più o meno animate – con i sostenitori dell’arretratezza di un meridione che ancora offre ai suoi visitatori terrazzi e balconi pieni di bucati, in attesa della benedizione del sole!
Spesso sono anche persone impegnate nella lotta all’inquinamento, che fa tanto cool, ma che poi cedono alla comodità delle asciugatrici, vere e proprie sanguisughe dell’energia elettrica. Sono talvolta quelle stesse persone che hanno scelto il regime vegetariano e vegano, agitando la giusta bandiera contro il climate change, prendendosela però poi con noi “carnivori” che “uccidiamo” (sic!) altri esseri viventi per mangiare, come se gli allevamenti di bestiame fossero stati inventati dal secondo dopoguerra in poi e non fossero piuttosto la normalità da quando l’uomo è arrivato sulla Terra e ha sperimentato il ferro e il fuoco. Tuttavia, quando poi si tratta di spendere quella mezz’oretta a stendere il bucato fresco di lavatrice, preferiscono asciugarlo con la macchina preposta o preferiscono acquistare uno degli ultimi modelli combinati, nemmeno avessero un hotel da gestire!

Siamo strani, noi occidentali. Adesso parliamo di sfruttare il sole per le energie rinnovabili, acquistiamo pagine intere dei quotidiani per invocare giusti interventi governativi a sostegno delle nuove tecnologie di approvvigionamento energetico, e poi la nostra stella nemmeno la calcoliamo per ciò che sarebbe più logico: asciugare!

Già il sole: qui nel meridione più profondo ha un altro calore e un altro colore. Sarà per l’incredibile vicinanza con il continente africano e che lo rende così caldo e intenso, ma sembra quasi ti faccia rinascere: ogni mattina lo vedi sorgere e quasi provi l’ebbrezza di nuova vita.

Ed appare surreale che a molti chilometri di distanza, dove vive quel popolo che sfottiamo sempre per la loro precisione, in Germania, sfruttino l’energia solare molto più che da noi che forse siamo anche ingrati per quel particolare dono della natura che ci è stato dato nascendo a queste latitudini.

Io invece ne sto facendo incetta, quasi fossi un pannello solare, ingordo della sua luce e del suo calore: non soltanto per colorarmi come mio solito in estate, quando tranquillamente potrei spacciarmi per nordafricano, ma è come se questo sole riesca a caricarmi, riempirmi di energia (no, non sono Daitarn III con l’energia solare!), restituirmi le forze fiaccate dallo stress della quotidianità.

Sono quasi a metà di questo soggiorno estivo a Catania e già ammetto che non vorrei partire più: forse è per questo che incamero così tanto calore, per poterne fare scorta quando – da fine agosto – dovrò di nuovo fare i conti con la nostra Capitale, la sua bellezza e la sua invivibilità, sapendo già quanto questo sole, questi profumi, questo mare mi mancheranno.

È da due giorni che la spiaggia di Catania, la Playa, è veramente spettacolare complice un venticello che non ti fa sentire i 37 gradi, alle 17.40, che segnava il termometro della mia auto (all’ombra!) nel parcheggio dello stabilimento balneare dove siamo soliti andare negli ultimi anni, un mare così pulito e trasparente che personalmente non vedevo da anni sugli arenili della mia città e l’Etna che da lontano tuona e domina maestoso tutto il golfo. Ecco di fronte a questo spettacolo provo due sentimenti contrastanti. Il primo è di serenità: non esiste nessun altro posto al mondo che ti faccia sentire bene come casa tua. Io qui sto bene. È questa casa mia.

Il secondo è inquietudine: perché con tutto questo patrimonio ambientale, paesaggistico, naturalistico e culturale la mia terra, la mia amata Sicilia, la mia adorata Catania, non riescono finalmente a ricoprire il posto che potrebbero e dovrebbero mantenere nelle classifiche mondiali del turismo ormai globalizzato? Ma c’è anche un qualcosa in più: perché questa terra, che con un po’ di lavoro decente sarebbe certamente agli apici delle classifiche della qualità della vita, baciata da un clima meraviglioso e popolata da enormi talenti nelle cucine (in qualunque angolo della Sicilia si mangia veramente da dio!), perché diamine lascia andare via i suoi figli verso lidi più o meno lontani, condannandoli a un’ennesima emigrazione forzata, solo parzialmente addolcita dalla presenza ormai di numerosi vettori low cost che facilitano loro la vita per quei pochi rientri l’anno? Possibile che ancora oggi, nonostante tutta l’esperienza che dovremmo aver tutti maturato, i siciliani non riescano a comprendere che sono loro stessi la prima risorsa sulla quale investire per garantirsi un futuro degno della storia di questo triangolo del Mediterraneo?

Non mancano certo bagliori di nuova luce, in fondo a un tunnel che purtroppo sembra sempre senza uscita: li vedi in giovani che inventano nuovi lavori, valorizzano vecchi borghi abbandonati da quello Stato che troppo spesso ha latitato da queste parti – lasciando la regione in balia degli sciacalli della mafia e della politica politicante – e che adesso si cerca di recuperare, investendo in quell’immenso serbatoio di carburante che è l’enorme crogiolo di culture che hanno vissuto e convissuto nei secoli nella più grande isola del Mediterraneo.

Mia figlia adora stare qui, di inverno e di estate: se nella stagione calda ciò può apparire scontato per il mare, per la luce, per il fatto che qui è libera di giocare sui balconi – attività preclusa nella Capitale dove abbiamo due terrazzini piuttosto contenuti – in inverno invece potrebbe apparire bizzarro che una bimba di quasi sei anni possa amare questo posto.

Forse una ragione sta nella nostra casa: un appartamento che ha visto bimbi crescere da quasi quaranta anni sotto l’amore e la protezione di due grandi vecchi che abitavano proprio queste stanze, nelle quali mi trovo io a scrivere.

Qui nel mio studio, mentre guardo le luci che si riflettono sul mare lontano e ascolto i boati della Montagna, era solito trascorrere le sue serate mio nonno Turi, il nostro partigiano. Leggeva, pregava, si esercitava alla settimana enigmistica: è in qualche modo uno studio magico, questo, e io che lo occupo ormai da otto anni lo posso testimoniare. Questo paesino dove siamo andati a vivere nel 1974, alle porte della città ma ormai parte integrante della periferia etnea, non è il massimo e non l’ho mai particolarmente amato, anzi. Tuttavia anche qui stanno facendo passi da giganti per renderlo più vivibile e apprezzabile dai residenti e dai villeggianti.

Ma questa camera, con questa vista meravigliosa, è invece un piccolo angolo di paradiso per me: ci sono mille cose che mi mancano a Roma la cui assenza è comunque tollerabile. Ma questa stanza qui, con il suo mobilio ormai di quasi trenta anni fa che arredava la mia vecchia cameretta, è forse tra le uniche cose, insieme al mare d’inverno e al caffè di fronte all’Etna che nessuna realtà virtuale, nessuna webcam e nessun iPhone potrà mai regalarmi.

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