Viaggio in Argentina /3 – Alla scoperta della Patagonia
Quante volte l’abbiamo sognata leggendo Chatwin o guardando il Che attraversarla in sella alla sua motocicletta! Quante volte abbiamo immaginato di trovarci in mezzo al nulla, girando su noi stessi a 360° e trovare sempre lo stesso panorama, spazzato via dal vento che “appare” improvvisamente e che soffia l’alito gelido delle Ande! Quante volte abbiamo pensato – sfogliando i cataloghi di un’agenzia di viaggi o girovagando in rete – di volerci catapultare fin laggiù, dove la natura incontaminata è assolutamente padrona (ancora) dell’ambiente!
Sono stato molto fortunato perché ho potuto visitare ben due volte la Patagonia, anche grazie al default argentino del 2001 che ha reso accessibile il turismo da quelle parti anche a chi non navigava nell’oro. La prima volta che andai all’estremo sud del corno del paese sudamericano fu a novembre del 2002 e visitai la zona dei ghiacciai e la Terra del Fuoco. Quattro anni dopo – durante la nostra luna di miele – mia moglie e io ci avvicinammo alla vasta regione del Sud partendo invece dal Nord, come già vi raccontai nei precedenti due post, a Iguazú e a San Ignacio Miní, del nostro lungo viaggio sudamericano.
Il volo da Posadas, la capitale della Provincia di Misiones, partì con un ritardo terrificante che lasciava presagire qualche guaio che … puntualmente si verificò! Allo scalo “Aeroparque” dei voli nazionali di Buenos Aires, appena l’aereo raggiunse l’area di parcheggio, venimmo chiamati e scortati verso l’altro velivolo dell’Aerolineas Argentinas che era in attesa solo di noi due per decollare alla volta di Trelew, nella Penisola Valdés, al nord della regione patagonica. E naturalmente il guaio si presentò proprio all’atterraggio quando scoprimmo che le nostre valigie erano rimaste nella capitale in attesa del volo successivo che sarebbe ovviamente partito soltanto il giorno dopo. Fortunatamente, la corsa contro il tempo (e soprattutto contro il personale della compagnia aerea argentina, non proprio efficiente, nello scalo patagonico) si concluse positivamente, riuscendo a trovare l’unico supermercato per abbigliamento ancora aperto a Puerto Madryn, la deliziosa cittadina sull’Oceano Atlantico dove alloggiavamo, principale punto di partenza per le escursioni che ci avrebbero atteso il giorno dopo.
La prima giornata di escursione cominciò presto – molto presto – praticamente all’alba. Con un pimpante albergatore che ci invitava a sbrigarci e con la guida sull’uscio della sua porta arrivata ben prima che le nostre palpebre (in vacanza!) avessero l’abitudine di aprirsi, ci preparammo in fretta e furia e salimmo sul piccolo bus che ci avrebbe portato a Puerto Pirámides, il luogo di imbarco per le escursioni terrestri e marine della penisola. Quella mattina avremmo salpato su un’imbarcazione alla ricerca della balena australe, questi grandi bestioni del mare che nella primavera dell’altro emisfero vanno fin laggiù a mettere al mondo i loro “piccoli“. Il gruppetto del quale Silvia e io facevamo parte era composto di una decina di persone. Noi eravamo gli unici due italiani: vi era una coppia di spagnoli, stranamente molto taciturni e riservati, e un gruppetto di amici argentini in gita primaverile da Rosario, la terza città dell’Argentina dopo la capitale e Córdoba. Facemmo amicizia quasi subito con loro che praticamente ci adottarono nel loro gruppo chiamandoci (e sfottendoci) con l’appellativo di “los mieleros“, gli sposini diremmo noi, ma che francamente in castellano ha sicuramente un altro effetto, quasi onomatopeico per le smancerie che una coppia in luna di miele si scambia.
A Puerto Pirámides, prima di salire a bordo dell’imbarcazione, acquistammo un berretto per mia moglie (tutta la nostra roba era ancora in volo da Buenos Aires, tranne fortunatamente le giacche a vento opportunamente lasciate nel bagaglio a mano) per il vento gelido che soffiava, facemmo una merendina calda (anche per compensare la terribile colazione che la fretta dell’albergatore e di Federico, la guida, ci aveva impedito di completare) e ci guardammo un po’ intorno, divertendoci a osservare un bambino intento a “torturare” due cagnoloni!
Di lì a poco ci chiamarono per imbarcarci: era finalmente arrivato il nostro turno e potevamo salpare per provare ad avvistare le balene, o meglio almeno una di balena!
Ci sembrava di vivere una specie di gita scolastica, infagottati nei nostri giubbotti salvagente e sgomitando per il posto migliore per osservare e scattare l’immagine migliore.
Confesso di aver visto la balena e il suo piccolo più attraverso il mirino della mia fotocamera che a occhio nudo: ma quando per un attimo distoglievo il dito dal pulsante dell’otturatore e cercavo di ammirare queste creature senza “mezzo” provi una sensazione particolare. Certo, nell’immaginario infantile la balena richiama Pinocchio; in quello adolescenziale Moby Dick; nell’impegno della maturità la mattanza giapponese (ma non solo): sta di fatto che di fronte a tali bestie, enormi rispetto alla nostra barca, rimanere senza fiato è il minimo. Sono grandissime e tenerissime con i loro cuccioli attaccati alle mammelle per allattarsi.
Rientrati al porto, consumammo un velocissimo pasto e raggiungemmo velocemente il gruppetto dei nuovi amici argentini che ci aspettava per completare il giro della penisola. Ammirammo un’enorme distesa di leoni marini e di elefanti marini, spiaggiati e assonnati in riva all’oceano. Uno spettacolo meraviglioso, così come vedere le madri allattare i piccoli e allontanare qualche disturbatore di turno.
In tutto il giro ci fermammo a fotografare anche una piccolissima colonia di pinguini: mentre Federico, la nostra guida, ci smorzava il facile entusiasmo, dicendo che il giorno dopo ne avremmo visti molti di più, Silvia e io sembravamo come dei bambini in uno zoo, solo che quello non era un giardino zoologico opera dell’uomo, tutto quello che osservavamo lì era realtà, habitat naturale di questi buffi uccelli incapaci di volare.
Dopo una breve passeggiata in riva al mare al tramonto e un’ottima cena a base di carne argentina, finalmente era arrivata l’ora della nanna, stanchi ma con gli occhi colmi di natura e assai grati per le emozioni che ci erano state regalate dell’ambiente incontaminato della Patagonia.
Il giorno dopo – lo sapevamo bene – sarebbe stata una giornata difficilmente ripetibile. Stavolta ci eravamo rivolti a Federico in anticipo, chiedendogli il favore di cominciare il giro degli hotel al contrario e di lasciarci per ultimi, giusto il tempo per farci finire con calma il caffè e poterci lavarci i denti!
La nostra simpaticissima guida fu di parola e così la nostra seconda giornata in Patagonia partì col piede giusto.

Prima di arrivare alla Riserva Naturale di Punta Tombo, clou di quell’escursione, il programma prevedeva un giro in barca a Puerto Rawson, piccolo porto commerciale da dove partivano le escursioni per avvistare i delfini bianco-neri, las toninas, che solitamente si trovavano al largo.
In questa pagina vedete l’unica foto decente dei delfini scattata da mia moglie con la sua piccola compatta: quel giorno non lo dimenticherò mai per l’incredibile errore che feci nel settaggio dei parametri della fotocamera. Dimenticai di controllare la ghiera di selezione dei programmi dopo un tentativo di mettere a riparo la fotocamera da un’onda. Alzai la macchina e mi misi a scattare a burst, a raffica, sperando di beccare il balzo di un delfino. ero certo di averlo preso quando una volta che i delfini proseguirono per la loro strada controllai. E sbiancai! Fortuna che mia moglie era riuscita a cogliere il salto del simpatico mammifero altrimenti non ci sarebbe rimasto altro che un ricordo nella mente!
E ci mettemmo quindi in marcia. Ci sono volute più di due ore, quasi tutte di sterrato, per raggiungere la Riserva di Punta Tombo dove l’uomo è l’estraneo e i pinguini sono i padroni di casa. Soltanto quando arrivammo fin laggiù riuscimmo a comprendere pienamente cosa Federico avesse voluto dire quando il giorno prima ci esortava a non perdere troppo tempo a fare foto di quella piccolissima colonia.
Non avrei mai immaginato di vedere una così vasta distesa di terra tutta piena di questi buffissimi animali, intenti a covare le loro uova e a tuffarsi in acqua come bambini sulla spiaggia in estate. Non riuscivo proprio a credere al fatto che ci si trovava a nemmeno dieci centimetri da loro, circondati da segnali nei quali veniva ricordato che il luogo dove noi ci trovavamo temporaneamente era in realtà la loro casa e che loro – ignari delle nostre convenzioni stradali e sociali – avevano la precedenza in caso di incrocio.
Ma la giornata non era ancora finita: nel pomeriggio, alle cinque, era previsto un tè … gallese!
Sì, perché il nuovo mondo è questo, una grande insalatiera dove tutte le culture si mescolano e provano a convivere, pur conservando le proprie tradizioni. Così a Gaiman, vicino Trelew, una tradizione familiare gallese si perpetua e i visitatori possono gustare una vera merenda casareccia.
Sulla via del ritorno, poi, Federico chiese a Silvia di preparare il mate, la celebre bevanda argentina che spesso ultimamente vediamo consumare a Papa Francesco, in Piazza San Pietro, quando gliela offrono durante l’udienza generale.
Un onore, per mia moglie, quello di preparare questa specie di tè argentino che è una sorta di calumet dell’amicizia: la nostra guida fu molto carina con noi, ci spiegò l’origine di quel modo di consumare quella sorta di tisana e soprattutto anche qualche retroscena riguardo i bastoncini di legno che ritornano a galla e che gli argentini, burlescamente, chiamano i paraguayos, per prendere in giro i loro vicini di casa.
Quasi sul calar del sole rientrammo a Puerto Madryn dal nostro albergatore frenetico: salutammo i nostri nuovi amici ringraziandoli per una cordialità che in Argentina è incredibilmente calorosa e diffusa. Ci preparammo per un’altra cena e una passeggiata, dove incontrammo anche una giovane studentessa di un liceo torinese laggiù in programma di scambio.
Il giorno dopo saremmo partiti alla volta della Terra del Fuoco, alla fine del mondo abitato da noi umani che ci avrebbe riservato altre emozioni e racconti suggestivi da ricordare.