Un angolo di La Paz a Montesacro

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Vi ho vissuto dieci anni al Sacco Pastore, un piccolo quartiere del municipio di Montesacro a Roma: lì l’Aniene, il secondo fiume della Capitale, compie un’ansa sinuosa prima di compiere gli ultimi chilometri e tuffarsi sul Tevere all’altezza del Ponte Salario, dietro Villa Ada. Detto anche Espero per via del vecchio cinema che così si chiamava e che ora è stato trasformato in una sala bingo (triste metafora di una società che sottomette la cultura al gioco), è una sorta di villaggio, come Notting Hill per William Thacker, l’imbranato libraio magistralmente impersonato da Hugh Grant nella deliziosa omonima commedia con la divina Julia Roberts. Arrivai in questo angolo di Roma nel febbraio del 1999: si era liberata una stanza nel minuscolo appartamento dove viveva mia sorella. Durante le vacanze natalizie, mentre mi trovavo in licenza dal servizio militare, lei ci raccontò che probabilmente le sue coinquiline sarebbero andate via e che quindi si sarebbe dovuta mettere alla ricerca di qualcuno con cui dividere le spese. Visto che la sbornia da militare stava per terminare, mi toccava cominciare a lavorare e a Catania non si prevedeva nulla di buono, le proposi di prendere io il posto delle due e di condividere l’appartamento.

Emigrare per emigrare meglio vivere a Roma con mia sorella!

Potete immaginare la gioia negli occhi di mia nonna quando si concretizzò che entrambi i suoi unici nipoti avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto: purtroppo né lei né il nonno ci hanno mai potuto far visita, visto che due mesi dopo il mio arrivo all’Espero mio nonno morì e contemporaneamente alla nonna fu diagnosticato un cancro all’encefalo.

Sacco Pastore – dal nome della sua parrocchia intitolata a Gesù Bambino – è stato il mio villaggio per molti anni e vi confesso che se riuscissi a comprare una casa a Roma quel quartierino proprio non mi dispiacerebbe. Una pista ciclabile che ti porta nei pressi di Villa Ada da una parte e nel Parco dell’Aniene dall’altra, un mercato vivo ogni giorno, un’ottima pasticceria per far colazione la domenica e una parrocchia con tanti campi sportivi! Quante domeniche trascorse a leggere sotto l’ombra del parco!
E quella che vi racconto ora era proprio una domenica come tante, con un cielo uggioso, una temperatura non molto fredda ma umida, un dopopranzo di quelli che ti implorano di restare alla finestra, al calduccio davanti ad un camino con un bel libro o sul divano davanti alla TV.

Improvvisamente dalla strada una miriade di suoni e di colori cominciò a popolare le strade del quartiere: era la comunità boliviana che era scesa per festeggiare il loro carnevale.

Erano trascorsi pochi mesi dal rientro mio e di mia moglie dalla luna di miele, da quei meravigliosi ventotto giorni trascorsi in Sud America, tra Argentina e Cile: quelle poche ore invernali furono un tocco di saudade per quel nostro viaggio.

Ciò che più mi colpì di quel pomeriggio latino furono i volti: la Bolivia è uno dei paesi più poveri del Sud America e del mondo intero e a Roma sono presenti moltissimi boliviani.

I loro volti ci hanno trasmesso allegria e consapevolezza di cosa significhi vivere all’estero in comunità e mantenere le loro tradizioni, come la diablada, tipica danza che chiude il carnevale.

Ci hanno fatto comprendere meglio cosa significhi vivere fuori dalla propria terra, tra gente che ti guarda con curiosità (per una volta!) per quei tuoi strani costumi e le tue danze particolari.

Una comunità assai umile e con pochissimi mezzi di sostentamento ma che appariva assai coesa e unita, condividendo quel poco che aveva preparato con il popolo che l’aveva accolta.

Un’allegria contagiosa che ha illuminato il grigiore di una domenica invernale che altrimenti sarebbe scivolata via in maniera noiosa.

Fra le tante difficoltà che ci sono in una metropoli, specialmente in una non particolarmente organizzata ed efficiente come Roma, vivere a stretto contatto con altre comunità è sicuramente un privilegio. A dispetto di molti che la considerano un’invasione, la presenza di altre culture e di altri popoli arricchisce il tessuto sociale di una città. Lo si sperimenta ogni giorno per chi ha l’intelligenza di vivere con gli occhi aperti e la comunità boliviana, ormai integrata da tempo in quella zona della città insieme con altri popoli latinos, era lì a dimostrarcelo. Sicuramente i sudamericani sono avvantaggiati dal parlare una lingua assai prossima alla nostra, specialmente perché il castellano da loro parlato è già un bel miscuglio frutto delle invasioni del loro continente nei passati secoli, ma l’impressione che si ha è che l’integrazione di queste comunità ha funzionato.

E se per caso vi capitasse di fare un salto da quelle parte, oltre le canoniche mura della città che delimitano il must di qualunque tour turistico, vi segnalo che a due passi dalla mia Notting Hill c’è il Ponte Nomentano, ormai totalmente pedonalizzato, il vecchio Ponte che i Romani costruirono per passare l’Aniene. Perché Roma – anche se ti trovi in periferia – ti ricorda sempre che lì qualunque angolo brulica di Storia.

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