C’era una volta il più bello del mondo

 In SPORT
Appena Carlos Tevez ha insaccato il calcio di punizione che consentiva alla Juventus di passare in vantaggio, la dolce serata quasi primaverile di Roma si è improvvisamente tramutata in una notte gelata per quei sessantamila spettatori di fede giallorossa, costretti a sorbirsi le urla di giubilo dello sparuto migliaio di tifosi bianconeri arrivati al Foro Italico.

Sono tornato allo stadio dopo quasi nove anni: l’ultima volta mi ero dovuto sorbire una bottigliata alla schiena da un cretino romanista che aveva pensato bene di reprimere la mia disperazione per il terzo gol della sua squadra nella porta del mio malcapitato Catania. Godersi la partita al “campo” è sempre uno spettacolo: avevo preso il biglietto a ottobre, insieme con un amico, perché si pensava che lo scontro al vertice della classifica della Serie A sarebbe stato decisivo per l’assegnazione dello scudetto. Invece già alla vigilia si capiva che le speranze della squadra capitolina erano ridotte al lumicino e il gol dell’Apache le soffocava ulteriormente e probabilmente definitivamente.

La cronaca del match si esaurisce in poche righe: Roma inesistente per 70 minuti (nemmeno un tiro in porta, anzi nemmeno un’azione!), poi espulsione, vantaggio bianconero e finalmente reazione giallorossa grazie agli innesti di Nainggolan e soprattutto di un Iturbe che nel quarto d’ora che ha giocato ha veramente cambiato la partita. Praticamente da solo.

La sensazione che lascia invece la partita, per chi non è un tifoso delle due squadre, è invece quella della fine di un mito, del “campionato più bello del mondo“: se quelle due squadre viste ieri notte sono le prime due del nostro campionato, capisci perché gli stadi sono praticamente vuoti ogni domenica.

Con la Juventus effettivamente di un altro pianeta, ma che poi in Europa fatica ogni anno ad arrivare in fondo alla Champions’ League; con la Roma, seconda in classifica in Italia ma sbattuta fuori maldestramente dalla massima competizione calcistica e che ancora si trascina in Europa League; con un livello siffatto del calcio italiano, dove i giocatori – italiani o stranieri che siano – appaiono di un livello imbarazzante nei fondamentali, non c’è di certo da stupirsi se la nostra Nazionale e i nostri club vengano sbattuti fuori dalle competizioni che contano e dai relativi tornaconti economici.

Anche negli altri Paesi, dal Regno Unito alla Germania, dalla Francia alla Spagna, le televisioni  a pagamento impongono gli orari più astrusi per gli incontri, spalmano la giornata di campionato su tre o quattro giorni: gli stadi però sono pieni perché si va ad assistere a uno spettacolo non alla guerra dei poveri.

Questo per quanto riguarda lo sport, il “calcio giocato”.

Ma andare allo stadio è anche un test per la vivibilità della città dove ti è capito vivere. Ho dovuto parcheggiare lontano, praticamente allo Stadio Flaminio, perché tutto intorno all’Olimpico non si trovava posto due ore prima, anche per effetto del blocco della Farnesina dove solitamente fino a non molti anni fa si poteva lasciare l’automobile. Polizia in assetto di guerra, controlli che cominciavano praticamente sul Lungotevere (mi hanno fermato all’ingresso del nuovo Ponte della Musica, dall’altro lato del biondo fiume rispetto allo stadio) e che comunque non impediscono di far entrare all’interno dello stadio petardi e botti, cancelli, tornelli, perquisizioni: trovo deprimente che per andare a vedere un evento di spettacolo un cittadino debba essere perquisito come se stesse per decollare su un razzo spaziale diretto verso la Stazione Spaziale Internazionale. Quando con mia moglie andammo a vedere un match di NBA a Philadelphia, oltre ad avere un sistema di parcheggi perfetto, tutto intorno al Palazzo dello Sport, sembrava di andare a teatro e non alla guerra.

Altre considerazioni riguarderebbero le tifoserie: ne abbiamo parlato molte volte, su questo blog, e quindi non mi soffermerò molto. La Curva Sud è sempre uno spettacolo e ascoltare l’inno cantato da Antonello Venditti ovviamente fa vibrare il cuore dall’emozione. Tuttavia ho cercato di contare i cori “pro” e quelli “contro” da ambo le tifoserie: i secondi erano di gran lunga i più numerosi, ai quali si aggiungono quelli contro i “napoletani” – una sorta di cult per la tifoseria della Roma – e l’evergreen contro la proprietà della società bianconera.

Anche questo ci contraddistingue: non incitare i propri beniamini bensì sperare che gli avversari si facciano male, giochino peggio, in una sorta di gara al ribasso.

«Meglio uno 0-0 ben giocato» – diceva il re del calzio, come pronunciava lui romagnolo il nome del suo sport/lavoro, Arrigo Sacchi – «che un incontro pieno di gol frutto di errori». Forse sarò tra i pochi ma la penso allo stesso modo: competizione per competizione meglio al rialzo che a chi fa peggio.

 

 

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