La fine dell’innocenza

 In SPORT
Quando le Roi Michel Platini insaccò il calcio di rigore, che portava la Juventus in vantaggio sul Liverpool, e cominciò a esultare, ebbi proprio la sensazione che il mio gioco preferito non aveva più senso. Avevo tredici anni e come l’anno precedente, quando era stata la Roma a giocarsi la coppa dalle grandi orecchie sempre con i Reds, perdendo ai rigori proprio all’Olimpico, tifavo Juventus quella sera: lo ritenevo normale, era una squadra italiana (salvo Platini e Boniek, s’intende!) e costituiva praticamente l’ossatura della Nazionale campione del mondo in carica.

Le immagini di Bruxelles, le parole del mito Scirea, il fallo fuori area su Boniek, il giro festante con la Coppa: ricordo quasi tutto di una notte nella quale persi la mia innocenza e scoprii che il calcio, il mio “giocattolo” era altro. Avevo già visto con i miei occhi i disordini allo stadio, quando al Cibali – due anni prima – il pazzo custode dello stadio della mia città aveva sparato e ucciso un tifoso, un po’ troppo burlone, che aveva mostrato i genitali alla figlia dell’uomo. Ma lo stadio per me era ancora “festa”: il rito della domenica pomeriggio con mio papà a supportare il Catania o dentro la mia stanza a giocare con radio e registratori, immaginandomi conduttore radiofonico (vedete, che la passione del giornalismo è dentro da sempre?!).

Ma quella notte dell’Heysel fu la fine di un mondo: noi ragazzini capimmo che il mondo del calcio, nel quale tutti noi – che abbiamo avuto la fortuna di giocare per strada o nei cortili – riponevamo i nostri sogni e i nostri miti, era un mondo corrotto nell’animo. E i tifosi non erano certo vittime ma anche carnefici.

Trenta anni dopo, mentre le televisioni di tutto il mondo ricordano la strage dell’Heysel, ormai quasi non ci facciamo più caso al fatto che gli stadi italiani si svuotano sempre di più, gli incidenti sono ordinaria amministrazione prima, durante e dopo gli incontri di cartello, la parte violenta della tifoseria ha ormai vinto e forse se non ci scappano 39 morti per il crollo di una tribuna è perché forse i nostri impianti ancora sono robusti (o forse ci ha detto culo, chissa!).

Non abbiamo imparato nulla da allora: anzi. La corruzione ha investito la Federazione Mondiale, quella che gestisce uno dei più grandi business planetari qual è il mondiale. Abbiamo assistito in questi trenta anni a morti ammazzati negli scontri, episodi di increscioso razzismo contro i neri, terribili riferimenti a un tentativo di suicidio – fortunatamente senza successo – di un calciatore.

Adesso sabato prossimo la Juventus torna a disputare una finale ed è ancora la squadra sulla quale in massima parte poggia una Nazionale che non supera il primo turno ai mondiali dalla meravigliosa notte di Berlino. Non credo che “tiferò” Juventus perché italiana: mi godrò soltanto l’incontro, il più importante a livello di club del continente e forse del mondo, visto che la Champions’ League europea è certamente la competizione per club più bella che ci sia. E un po’ – vi confesso – guardo con molta nostalgia a quel bambino che riusciva a tifare prima per la Roma, per la Juve, per l’Inter, per il Milan, per qualunque squadra lungo lo Stivale fosse riuscita a tenere alto l’onore del Tricolore: un bambino che trenta anni fa crebbe in una notte grazie alla follia collettiva di alcuni cosiddetti esseri umani che trasformarono una serata di festa in un incubo di sangue e di morte.

 

(photo credit: AP Photo/Gianni Foggia)

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