Il completatore

 In POLITICA
In principio furono i licenziamenti collettivi: entrati di sotterfugio nell’amplissima delega del Jobs Act, il Ministero del Lavoro varò un decreto attuativo che consentiva l’indennizzo e non il reintegro del posto di lavoro anche per il licenziamento illegittimo di cinque addetti. Come dire, visto che l’articolo 18 riguarda il lavoratore singolo, noi diciamo che fino a cinque è la stessa cosa.

Licenziamenti ripeto illegittimi, stabiliti tali da un Tribunale del Lavoro (spesso sui social si leggono assurdità sul fatto che l’articolo 18 fosse incostituzionale, che era un deterrente per le nano imprese, senza che si capisca che esso tutelava da un provvedimento illegittimo, arbitrario, da parte del padrone) , cioè per i quali non c’è nessuna causa giusta, nessun motivo economico per ridurre l’organico, nessuna efficienza produttiva da salvaguardare (per queste cause la riduzione di organico è possibile solo che è più faticoso, richiede lavoro. Vuoi mettere invece una bella letterina e poi se mi dicono che è illegittimo sticazzi e pago una multa?).

Poi ci fu la questione degli indennizzi: quattro spicci, in funzione dell’anzianità aziendale, molto meno di quanto spesso si otteneva in passato nei casi di riduzione d’organico, dove soprattutto si lavorava al replacement del lavoratore.

Infine la questione del controllo del datore di lavoro, con la scusa delle nuove tecnologie, della sicurezza delle informazioni (ormai dal Patriot Act, legge americana conseguenza diretta dell’attentato dell’11 settembre, la scusante della sicurezza è buona per qualunque limitazione della libertà personale).

Ma noi – che parlavamo di dignità del lavoro e del lavoratore, peraltro ultimamente in ottima compagnia (il Papa) – eravamo i gufi, i rosiconi, coloro che non capivano che i lacci e lacciuoli alle imprese impedivano la crescita del Paese.

Nel frattempo – ovviamente – mancava una seria riforma degli ammortizzatori sociali (mancano i soldi), delle agenzie per l’impiego di impostazione anglosassone (per bilanciare la libertà di licenziamento) nemmeno l’ombra, nemmeno a parlarne la riforma dei board delle aziende e la presenza delle rappresentanze dei lavoratori nella gestione, la cosiddetta cogestione dell’impresa.

Parallelamente un complesso di riforme istituzionali che più incasinate non potrebbero, spacciate per il PIN per ripartire, narrazione continua di un paese che non esiste, non perché sempre noi gufi e rosiconi lo descriviamo tale ma che purtroppo la crisi economica e sociale che viviamo non la si risolve con la fretta che è stata sbandierata (chi di fretta ferisce di fretta perisce).

Al Ministero dello Sviluppo Economico, dove siede in perfetto conflitto di interesse un’industriale, non è stata varata una che sia una misura per lo stimolo della domanda interna che inevitabilmente sarebbe dovuta partire dai consumatori: i celeberrimi ottanta euro sono stati la classica goccia per i ceti più bassi, nella più perfetta materializzazione della trickle-down economy di reaganiana memoria, senza che fossero seguiti da servizi. Anzi. I 10 miliardi di finanziamento del bonus si sono inevitabilmente riflessi nel taglio ai trasferimenti degli enti locali che sono quelli che forniscono i servizi alle classi beneficiarie degli ottanta euro.

Ma la narrazione non poteva soffermarsi su loro, sui diritti di chi non ne ha: il cono di luce proiettato da media e mainstream sociale doveva illuminare soltanto una piazza, Colonna a Roma, e soltanto un palazzo, Chigi, sempre a Roma.

Lì si decide, lì si corre, lì si rifà l’Italia.

Poi arrivano le elezioni amministrative, primo e secondo turno, e scopri che la fretta che hai impresso nel 2013 («Fate presto» – si gridava ben prima che il mandato di Giorgio Napolitano scadesse e quindi si potesse procedere all’elezione del successore, l’incarico per il governo, ecc.) adesso ti si ritorce contro, perché la realtà comunque va avanti, a prescindere dallo storytelling che Filippo Sensi ha deciso per il mantra sociale; i barconi arrivano comunque e quindi la Lega gioca facile; gli scandali non risparmiano lo stesso PD locale che nel 2013 ti aveva incoronato (anche fra gli iscritti vinse la mozione che poi stravinse le primarie) e che tu hai provato a ignorare, mentre gli elettori se n’erano accorti bene di cosa fosse diventato in periferia.

Il punto è che se tu vuoi copiare Berlusconi e la sue politiche neoliberiste di ispirazione thatcheriana e reaganiana (tanto da far giubilare uno come Maurizio Sacconi e l’intero NCD – recentemente Alfano da Maria Latella – che candidamente ammettono che il Jobs Act è di destra), se vuoi copiare Grillo e la sua massa di sconclusionati populisti prendendola col Palazzo, spacciandoti per esterno quando invece la gente si è resa conto che tu sei adesso quel palazzo, sei liberissimo di farlo e di farti male. Hai tutta la libertà di mandare a schiantare il tuo partito, il tuo governo e persino il tuo Paese: è un rischio che un politico deve correre se crede alle idee che propone.

Però sappi che se uno ascende all’Olimpo della Politica spacciandosi per Rottamatore, per uno che vuole rimuovere tutte le incrostazioni, figlie – peraltro – proprio di quelle politiche liberiste (che siano pure, di destra, o attenuate come quelle blairiane, poco importa) che negli ultimi due decenni in Italia e nel mondo hanno dominato la scena con risultati globali non certo entusiasmanti, ecco forse è anche il nome a essere sbagliato e Completatore sarebbe meglio.

Perché questo temo stia avvenendo, il completamento di una politica liberista e monetarista che in Italia si era riusciti a frenare con i due governi dell’Ulivo e che invece – grazie alla decisione di annientare il nemico interno (peraltro portatore proprio di quelle istanze) – è ritornata in auge.

Poi se la gente sceglie gli originali, i Salvini, i Grillo e i Berlusconi non è che te la puoi prendere con chi ti aveva avvisato.

Un minimo di autocritica – ogni tanto – sarebbe persino auspicabile, onde evitare deliri di onnipotenza e lasciare il campo a prese in giro sesquipedali grazie ad assurde analisi del voto bipolari!

 

p.s. con questo post chiude per questa stagione il mio cannocchiale sulla politica italiana. Mi aspetta una lunga estate a cavallo dello Stivale, fra aerei, auto e traghetti. La scorsa settimana ho finalmente scorto qualche segno nel foglio bianchissimo che ultimamente era diventata la mia mente e per uno che scrive il “foglio bianco” è un vero incubo. Ho letto un libro in due-tre giorni, di una giovane ma da tempo affermata autrice, e ne ho tratto nuova forza e nuovo stimolo. Forse è meglio assecondare questa nuova ispirazione piuttosto che andare dietro a voti di fiducia, tweet dell’assurdo e personalità bipolari che presuntuosamente governano il nostro scalcagnato paese.

 

(photo credit: il fotomontaggio in alto è stato trovato su internet sul blog Fiori di Zucca)

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