Scismi politici

 In LIBRI
Alla fine ce l’ho fatta: sono riuscito a completare il libro “Non è Francesco” di Antonio Socci. Ne avevo parlato lo scorso ottobre, dopo l’anticipazione sulle pagine di Libero della parte più deflagrante del testo e cioè della supposta invalidità canonica dell’elezione di Bergoglio al soglio di Pietro. Non ho competenze di diritto canonico per cui mi limito a rimandare a due post, uno di Geraldina Boni – docente di Diritto Canonico e di Storia del Diritto Canonico a Bologna – l’altro di Claudio Gentile sulla rivista online InStoria, per tutto ciò che riguarda la risposta puntuale ai cavilli che il giornalista di Libero scriveva relativamente all’invalidità dell’elezione pontificia.

Ho la sensazione però che questo del cavillo giuridico sia stato in realtà l’espediente retorico per scrivere un libro contro Francesco e la sua riforma radicale del clero, della Curia e della Chiesa intera. Confesso che a un certo punto ho interrotto la lettura: è capitato quando, dopo avere torturato il lettore con una serie di attacchi più o meno giustificati (dal suo punto di vista, naturalmente) Socci tirava in ballo persino lo Spirito Santo – o meglio l’assenza della Grazia infusa dallo Spirito di Dio vista l’invalidità canonica – per giustificare ciò che a suo parere erano le maggiori inesattezze, se non eresie, che il Papa aveva pronunciato. Socci chiede quindi al Papa di fare un passo indietro, di tornarsene in Argentina accettando tale ricostruzione degli eventi del conclave, uscendo di scena dignitosamente, prima – a suo dire – di continuare a fare danni alla Chiesa (che poi Socci chiede sì un nuovo Conclave ma allo stesso tempo dubita della rinuncia di Benedetto XVI. Se quest’ultima non fosse stata valida la sede sarebbe stata non vacante per definizione quindi perché chiedere un nuovo conclave? Mah, misteri dei cavilli!).

Di fronte a questa ricostruzione ho dovuto forzarmi parecchio per terminare il saggio di Socci (non mi piace lasciare libri in sospeso!): mi è sembrato pretestuoso tirare in ballo la terza persona della Trinità soltanto perché il Pontefice regnante dice cose che non gradisci! Tante volte, a tanti altri cattolici come il giornalista del quotidiano di Belpietro, i predecessori del papa argentino hanno sostenuto tesi che non erano proprio così condivisibili ma non per questo si è ritenuto di pensare che fossero così pronunciate perché costoro non erano legittimamente papi!

Tuttavia ci sono degli aspetti nel libro di Socci interessanti: la prima è la non accettazione della realtà e la costruzione di una sorta di mondo parallelo, puramente fantasioso, tipico di chi si rifiuta di voler vedere l’evidenza empirica. È il caso della rinuncia del Papa Emerito, Benedetto XVI, che chiunque quel giorno di febbraio abbia ascoltato la declaratio ne ha potuto avvertire la totale libertà di scelta dell’allora pontefice così come la pubblicità della decisione fu la più assoluta (sia per il contesto scelto – il Concistoro – e sia soprattutto per le riprese televisive del Centro Televisivo Vaticano che in ogni angolo del mondo diffusero le storiche “dimissioni”). Lo stesso Ratzinger nelle due settimane successive, e anche dopo il suo ritiro nel corso di un colloquio con i vaticanisti della Stampa, aveva avuto modo di chiarire la peculiarità dello status della sua persona: essendo stato eletto papa avrebbe indossato l’abito talare bianco ma senza le insegne pastorali (la pellegrina, la mantella simbolo della giurisdizione nella diocesi, e l’anello pastorale distrutto dopo il 28 febbraio 2013): restava nel recinto di Pietro, professando obbedienza al nuovo papa, né più né meno rispetto a qualunque altro Vescovo in comunione con il pontefice.

Socci non ci sta, non crede che la rinuncia sia completamente libera, non accetta la cosa più semplice e cioè che Joseph Ratzinger, ormai anziano, non ce la facesse veramente più fisicamente. Vuole instillare il dubbio, nel lettore, che in realtà ci sia altro, di non detto all’interno della Curia, come una sorta di ricatto – quanto meno morale – nei confronti di Benedetto XVI. Riporta (pur non sposandola) una tesi che arriva persino a supporre che ci fosse stato un accordo con Carlo Maria Martini (il grandissimo arcivescovo di Milano) nel conclave del 2005 affinché Ratzinger accettasse una sorta di incarico a termine per poi aprire la strada a Bergoglio successivamente (nel conclave dopo la morte di Giovanni Paolo II l’allora arcivescovo di Buenos Aires racimolò molti voti, ben più di quelli ottenuti da Scola otto anni dopo. Secondo questa tesi Martini, grande sostenitore di Bergoglio già allora, avrebbe stretto un patto con l’allora decano per un pontificato breve. Tesi fantasiosa ma alquanto offensiva proprio nei confronti di Ratzinger e della sua profonda fede). Naturalmente Socci non ha con sé prove inconfutabili e l’unica che propone è più da romanziere che da saggista: cita la visita di Ratzinger alla tomba di Celestino V, il papa del gran rifiuto, con il Papa tedesco che pone il pallio (simbolo della guida pastorale) sulla lapide del pontefice che prima di lui rinunziò al ministero petrino.

Un po’ poco, obbiettivamente.

L’altra cosa interessante del libro è invece l’attacco ad alzo zero nei confronti dei gesuiti e della parte della Chiesa che giornalisticamente si è soliti definire progressista. Bergoglio naturalmente è il bersaglio preferito del libro, gli viene contestato praticamente tutto il magistero finora espresso (e ancora non era stata pubblicata l’enciclica Laudato si’ che invece riceve attacchi domenicali dello stesso Socci su Libero): anzi lo sbeffeggia, lo deride di non avere preparazione teologica, addirittura di predicare male lo stesso Vangelo. È un Socci incredibilmente violento che si scaglia contro Martini, Bergoglio, Kasper e tutta quella parte della Chiesa che ha nel passato manifestato molte perplessità sulla capacità di adattamento del messaggio cristiano ai tempi odierni. Dalla morale sessuale alla comunione ai divorziati, dal giudizio sull’omosessualità al rapporto con le altre confessioni e religioni, Antonio Socci attacca deliberatamente il Papa, reo – a suo dire – di non difendere i cristiani e l’ortodossia cattolica, di voler proporre modifiche non possibili alla Legge Divina, rinunciando addirittura al compito principale dei discepoli di Gesù e cioè quelli di evangelizzare (Bergoglio sostiene infatti di non voler fare proselitismo ma di voler dare l’esempio affinché chi si avvicini al cattolicesimo lo faccia per “imitazione”).

Ora se si depurasse il libro dalle pezze d’appoggio canoniche e teologiche che pretende di avere, il nocciolo della questione sarebbe proprio questo: lotta di potere. Con la scusa dell’invalidità dell’elezione canonica, arrivando persino a scomodare i segreti di Fatima, la Madonna, le Profezie e altre immagini che sicuramente colpiscono il lettore più spaventato dal cambiamento, Socci in realtà attacca il nuovo corso della Chiesa perché non accetta da un lato l’inevitabile cambiamento che il nuovo mondo comporta, con la presenza di cattolici più nel Nuovo Continente che nel Vecchio; dall’altro è chiaro che questi equilibri geopolitici mutanti, che non potevano non incidere anche sulla Chiesa, comportano nel nostro Paese la perdita di grandi fette di potere e conseguentemente grandi appalti e grandi finanziamenti. D’altronde è proprio questo disinteresse per le cose nazionali (italiane, in particolare), che Bergoglio ha mostrato sin dall’inizio del pontificato, a spiazzare totalmente i ciellini alla Socci che trovano poi le scusanti più patetiche (il Papa non si inginocchia davanti al Tabernacolo, non canta durante la Messa) per non avere il coraggio di ammettere che questo nuovo pontefice venuto da lontano sta completando l’opera che era iniziata nel 1870 con la Breccia di Porta Pia: la fine del potere temporale della Chiesa, qualunque potere temporale ci sia ancora, in un’era nella quale non è soltanto legato al territorio ma soprattutto alla politica e agli affari quotidiani. Un Papa che si rivolge agli altri fratelli cristiani affinché si lavori per superare le divisioni e rispettare il Comandamento del Maestro “ut unum sint” (che siate una cosa sola), un Papa che non esita a rispettare le altre religioni, un Papa che chiede accoglienza per i migranti e la fine dello sfruttamento degli stessi, un Papa che esorta a non pensare alla Madonna come un “postina” (e il riferimento alle apparizioni a Medjugorje e al business che ne consegue è stato da tutti notato) ecco un Papa così (e una nuova Curia così diretta) non può che mandare di traverso i bocconi che gli amici di Socci erano soliti ingurgitare dagli appalti e dalle opere che Comunione e Liberazione era solita ricevere. Non va giù allo scrittore che Bergoglio abbia detto a Scalfari che “Dio non è cattolico, Dio è Dio!” come se non fosse la cosa persino più banale del mondo: per un credente non è che c’è un Dio dei cattolici e uno degli Ebrei. Dio è uno.

Ma naturalmente un’affermazione siffatta pone gravi conseguenze per quanti sinora hanno lucrato sulle debolezze di un popolo – quello italiano –  spesso non abituato a ragionare con la propria testa, tanto che non molto tempo fa Romano Prodi coniò la felice definizione di “cattolico adulto” per spiegare che si poteva anche professare la fede cattolica ma non per questo si rimaneva bambini, accettando ogni presa di posizione della CEI o del Vaticano. Socci imperversa in questo libro dipingendo una Chiesa nella tempesta, una sorta di lotta fra il Bene e il Male, dove il Bene è rappresentato dalla tradizione che egli propugna e il Male, rappresentato da questa svolta di Francesco. Con questo libro e con i suoi scritti domenicali su Libero, Antonio Socci quasi raggiunge un altro giornalista ultra tradizionalista, Magdi Cristiano Allam, che dopo essere stato battezzato nella notte di Pasqua del 2008 proprio per mano di Benedetto XVI, decise di lasciare la Chiesa, non riconoscendosi nei comportamenti – affermò sulla stampa – “che hanno comportato la legittimazione dell’Islam come religione e di Allah come Dio“, essendo peraltro “contrario al buonismo che porta la Chiesa a ergersi a massimo protettore degli immigrati, compresi – soprattutto – i clandestini“. Socci ancora non si spinge ad abbandonare il recinto di Pietro ma certamente ci va vicino: un’intolleranza nei confronti degli altri e soprattutto di chi agli altri si apre che appare inaccettabile proprio in forza di quel Vangelo che lo stesso afferma di voler testimoniare e che appare – domenica dopo domenica – bestemmiato.

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