Finisce un’epoca

 In LIFE

honda-hornet-backMi sono innamorato a prima vista del suo “di dietro”:  capitò una mattina nel parcheggio dell’azienda dove lavoravo all’epoca. L’aveva acquistata un collega e fu come un fulmine a ciel sereno: i due marmittoni, che conferivano simmetria rispetto alla sorellina, la vendutissima Hornet 600, mi piacquero da impazzire.

Non avevo mai avuto una moto fino ad allora: in famiglia avevano avuto molta paura con le due ruote sicché per avere il primo motorino dovetti aspettare i venticinque anni e la laurea! I miei amici catanesi ebbero una bellissima intuizione: anziché regalarmi i soliti regali convenzionali per le lauree, un bel motorino, uno scooter! Poiché la somma non sarebbe stata raggiunta furono i miei nonni a integrare: fu così che arrivò a casa mia un Piaggio Liberty 50, tutto mio, nell’estate del 1997 e un vento di libertà insolito finalmente soffiò alle mie spalle.

Dopo il servizio militare, che da Ufficiale di Complemento della Marina Militare mi portò a Roma, decisi che per muovermi un po’ meglio nel traffico romano il buon Liberty sarebbe dovuto venire con me, nella Capitale. Lo spedii grazie ai servizi delle Ferrovie dello Stato, servizi che adesso praticamente non esistono più, hai visto mai che poi i cittadini si abituino a spendere meno! Lo tenni dal 1999 al 2001, macinando un’infinità di chilometri in una città che i motorini li fagocita a velocità della luce, vuoi per i sampietrini in agguato, vuoi per le immense distanze che mi portavano a lavorare a venti chilometri da casa pur rimanendo dentro quello che viene chiamato anello ferroviario, una specie di confine fra Roma e il resto del mondo che si riversa sulle strade della capitale ogni santa mattina (e naturalmente va sempre più peggiorando per la nascita dei quartieri dormitorio senza servizi di trasporto pubblico che pullulano un po’ ovunque lungo gli ottanta chilometri del Grande Raccordo Anulare).

All’epoca lavoravo in Nortel Networks, multinazionale canadese delle telecomunicazioni, che aveva sede vicino l’EUR: prima nel quartiere della Montagnola, poi su Via Laurentina quasi al ridosso del Raccordo e infine su Via di Grotta Perfetta dove vi erano due palazzi gemelli, uno di fronte all’altro, con il miglior “ristorante aziendale” (si chiamava così, mica mensa!) che avessi mai visto fino ad allora (e anche dopo!). Quasi ogni giorno da Montesacro – dove abitavo – all’EUR attraversavo il centro di Roma: essendo il mio scooter un “cinquantino” mi era proibita la circolazione sulla tangenziale, sebbene in molti lo facessero. Anziché incorrere in qualche multa preferivo correre lungo tutta la Nomentana, infilarmi nel tunnel di Porta Pia e ritrovarmi di fronte alla Biblioteca Nazionale di Castro Pretorio, per poi dirigermi verso Viale Manzoni e quindi San Giovanni. Altre volte, quando non avevo voglia di respirare i fumi della galleria, procedevo su Via XX settembre e passavo dai Fori: Colosseo, Circo Massimo, Terme di Caracalla ed ecco che arrivavo velocemente – si fa per dire, con 50! – all’EUR.

Nell’estate del 2001, poco prima di cambiare azienda, un collega dell’epoca aveva deciso di vendere il suo maxi scooter, uno Yamaha Majesty 250: ci pensai un po’ e decisi di acquistarlo io. D’altronde a Roma un “50” è sacrificatissimo e con un quarto di litro puoi girare per la tangenziale e il raccordo, puoi farti agevolmente cento chilometri a Nord per andare a Capalbio o a Sud per tuffarsi al Circeo!

Così nel mentre che cambiavo lavoro anche il mio mezzo subiva un cambio! Cambio che durò poco: sette mesi dopo vi fu il colpo di fulmine e “al cuor non si comanda”.

honda-hornet-sideLa mia moto, una Honda Hornet 900, motore di 919 cc di cilindrata, derivato dal mitico CBR 900 della casa giapponese, 110 cavalli vapore di potenza (81 kW per il Fisco – laziale e siciliano – che si è pappato in questi tredici anni di onorato servizio una barca di soldi!), arrivò tra le mie mani il 2 aprile del 2002, giorno importante per noi catanesi perché si festeggia San Francesco di Paola, il santo protettore dei pescatori, come lo era il mio bisnonno dal quale probabilmente ho ereditato il colore degli occhi! Era (ed è ancora!) bellissima: nera, aggressiva, proprio come quell’insetto (calabrone) del quale porta il nome.

Non avevo mai avuto una moto e c’ero andato assai vicino quando due miei cugini avevano venduto le loro, una Kawasaki Ninja statunitense e una BMW R 850, che sarebbero potute essere mie (una delle due, s’intende!) ma che per ragioni di pax familiae non fu possibile acquistare. Mia sorella – carinamente – mi regalò un modellino della BMW R1100RS, augurandomi – prima o poi – di coronare il sogno di possedere e guidare una moto.

Il primo giro che feci con la Hornet fu sul Monte Soratte, lungo la Flaminia, mentre la prima gita, con una ragazza che frequentavo all’epoca, fu a Sperlonga per l’anniversario della Liberazione, con un diluvio che battezzò la mia compagna di viaggi alla sua prima uscita ufficiale. L’estate di quell’anno, mentre nell’azienda dove lavoravo si intravedevano già i nuvoloni neri che avrebbero portato alla burrasca autunnale e alla successiva e definitiva chiusura dell’anno dopo, prenotai la nave da Napoli per tornare a Catania e trascorrere le vacanze. A lavoro ci avevano “chiuso” per un intero mese, agosto, pessimo presagio di ciò che sarebbe successo alla fine della bella stagione. Fui infatti “incentivato” ad andare via e a non fare causa civile: accettai e mi misi alla ricerca di una nuova occupazione, girando per colloqui sempre a cavallo della mia Hornet.

L’estate successiva, memore del viaggio non proprio esaltante in nave (non chiusi praticamente occhio da Napoli a Catania!) del precedente anno, prenotai la nave da Salerno a Messina, ma giunto in prossimità della città campana decisi di sobbarcarmi altri 430 chilometri e arrivare in Sicilia. Alla fine di quell’estate la mia fedele compagna fu testimone del colpo di fulmine con Silvia, che tre anni più tardi sarebbe diventata mia moglie: fu la prima di una lunga serie di gite in Umbria che a quel tempo feci per poter trascorrere qualche giornata insieme alla mia fidanzata.

Mi ha seguito nelle estati siciliane del 2004 e del 2005, gite fuori porta nei dintorni di Roma, passeggiate in moto lungo la Tiburtina, bellissima strada per chi ama le due ruote. Insieme ci siamo arrampicati sull’Etna, fino al Rifugio Sapienza, e abbiamo visitato il bellissimo borgo di Calcata e bagnati nel mare di Terracina. È venuta con me in Sicilia, nell’estate del 2009, quando abbiamo provato a stabilirci a Catania per sempre, raccogliendo la mia rabbia per quei colloqui improduttivi. L’ho riportata a Roma tre anni dopo, esasperato dai mezzi pubblici assurdi che questa città propone come trasporto cittadino, e quasi non ci ha lasciato le penne, grazie a un pieno sporco di benzina che un disgraziato benzinaio truffatore mi aveva rifilato, in un’estate dove i giornali hanno dato grande risalto a questi sporchi giochini.

Adesso due anni dopo il suo rientro romano e dopo tredici anni e mezzo di onorato servizio, le nostre strade si sono separate: ho deciso dopo tanti anni di venderla e comprare una bici pieghevole Dahon, una di quelle che possono essere agevolmente trasportate in metropolitana e provare a dare una chance alla mobilità sostenibile, facendo la mia parte per salvaguardare l’ambiente e ricavando il beneficio di una migliore condizione fisica.

Qualche minuto fa ho consegnato le chiavi al concessionario che l’ha acquistata per rivenderla e spedirla fuori Roma (in teoria non potrebbe infatti circolare dentro Roma essendo una moto “Euro 1”, sebbene dopo lo scandalo Volkswagen è quasi surreale pensare alla reale efficacia di queste direttive!).

Mentirei se non dicessi che sono certo che proverò la sua mancanza: capiterà certamente quando avrò i minuti contati e per quanto possa pedalare non riuscirei mai a raggiungere la flessibilità di azione urbana di due ruote motorizzate. Accadrà probabilmente quando usciremo per le nostre escursioni familiari e incroceremo quelle carovane di motociclisti, non salutandoci più come si faceva quando ci si incrociava in moto. Probabilmente la rimpiangerò quando a Roma ci saranno gli scioperi dei mezzi pubblici e sarò costretto a pedalare senza salire in metropolitana!

Però so bene che al di là dei costi di manutenzione (che sono alti) vivremo meglio entrambi: lei, una moto stupenda ma sprecata se adoperata come un vecchio Califfone per nemmeno venti chilometri urbani; io, che dalle pedalate non potrò che ricavare “salute”. Finisce per me un’epoca e se ne apre un’altra: le ruote sono sempre due, magari quel senso di libertà lo proveremo ugualmente.

Sarà diverso, ma certamente sempre libertà sarà.

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