La felicità è “da qualche parte nel mondo”

 In LIBRI
Ho conosciuto “virtualmente” Chiara ormai più di sette anni fa: scovai un’intervista a un quotidiano – il Corriere se la memoria non mi inganna – nella quale si parlava del successo di alcuni giovani blogger e imprenditori del web. Acquistai un libro che trattava proprio di coloro che del world wide web ne hanno fatto una professione a tempo pieno o quanto meno il principale strumento di marketing e di vendita per le loro attività “tradizionali”. E Chiara era una delle professioniste del web descritte nel testo.
All’epoca mia moglie e io aspettavamo Elisa e progettavamo il nostro “rientro” in Sicilia, porre laggiù la nostra base e magari riuscire a sfruttare la “rete” per lavorare e girare il mondo avendo come base la nostra Catania. Quello che accadde a me, cari lettori, lo conoscete: alcuni scatoloni arrivati in Sicilia rimasero chiusi fino a quando un anno dopo furono imbarcati nella nostra monovolume per ritornare a Roma. Di nuovo. Ma in quel periodo ebbi la fortuna di “imbattermi” nel blog di questa ragazza, Chiara Cecilia Santamaria, almeno dieci anni più giovane di me ma con la quale noi stavamo condividendo qualcosa: diventare genitori. Ho seguito – e seguo ancora – con molto piacere il suo mummy-blog, anche se era un blog di mamme fino a poco tempo fa e ora che la sua bambina sta crescendo (è coetanea della mia) anche il suo sito lo sta facendo, liberando a mio avviso tutte le potenzialità che la penna di Chiara riesce a cogliere. Finalmente Chiara ha esaudito il desiderio di molte sue lettrici e “Da qualche parte nel mondo” è il suo romanzo d’esordio.

È un libro che parla di amicizia, di amore, di genitori, di coraggio, anche se – a mio avviso – è soprattutto un inno all’amore verso se stessi, condizione necessaria per poter pensare poi di amare qualcun altro essendone ricambiato.

Se sul blog Chiara era riuscita a demolire la stragrande maggioranza dei luoghi comuni che vogliono il politically correct nella maternità (e paternità), come se fossero sempre tutte rose e fiori e invece chi deve crescere dei figli – ormai sempre più spesso da soli visto che le distanze dalle famiglie di origine si sono allargate sempre di più per motivi economici e di lavoro – sa bene che è una faticaccia, in questo libro Chiara riesce a tratteggiare l’animo della protagonista, Lara, e dei tanti coprotagonisti, con il pennello del realismo, di una vita che semplice non è e romanzata meno che mai.

Lara, una ragazzina di scuola media, si trova ad affrontare la terribile realtà dell’abbandono del padre con la conseguenza dell’inevitabile crollo di un sistema di relazioni e di affetti che la rendono ancora più fragile e chiusa in sé. Trova conforto soltanto in Elena, una compagna di scuola che diventerà sua amica del cuore fino all’età adulta, e nella pittura, incoraggiata da uno strano e pittoresco personaggio, Elio, che mano a mano si scoprirà ricoprire un po’ il ruolo del Grillo Parlante per la ragazza, in aperto contrasto con una madre incapace di mostrare affetto e che non riesce a lasciar volare la propria figlia verso la meta sognata e agognata da sempre.

Con una rara delicatezza, Chiara racconta la scoperta dell’amore, del sesso e del tradimento, senza mai cadere in volgarità e lasciando che il lettore immagini la forza dell’amore senza però sentirsi turbato come se guardasse dal buco della serratura. Racconta di un’amicizia piuttosto rara (beati coloro che riescono a mantenere un’amicizia dalla scuola media! Personalmente non sono stato in grado nemmeno di mantenere quelle del Liceo!) ma che ha come base le uniche fondamenta sulle quali possa poggiare una relazione: la sincerità. Parla del difficile rapporto madre-figlia spingendosi a disegnare qualcosa che soltanto chi ci è passato forse può comprendere e lo fa disegnando questo rapporto con un tratto molto delicato, con un profondo rispetto per quei due personaggi, Lara e la mamma Adele, che ormai ha creato e che considera “persone” non certamente meri “oggetti” di inchiostro su un foglio bianco.

Questo libro è anche un atto d’amore per le sue due città: Roma e Londra. La prima, città natale dell’autrice, viene descritta nella sua sconvolgente bellezza, specialmente durante quella che i fotografi chiamano “golden hour”, cioè quella particolare parte della giornata, al mattino e al tardo pomeriggio, dove i colori si saturano, i raggi solari cominciano a inclinarsi sull’orizzonte rendendo meno piatti i paesaggi e i colori – che altrimenti verrebbero tutti “sbattuti” verso il bianco – cominciano a risaltare nella loro bellezza. Il cielo azzurro, il verde dei pini e dei pioppi, il fiume Tevere sinuoso come le forme di una bella donna. E io il libro – infatti – me lo sono tutto goduto su una panchina del Parco dei Daini di Villa Borghese! Ma c’è anche un’altra Roma, quella non da “Grande Bellezza” di Sorrentino, quella difficile delle periferie, da dove partono ogni santa mattina stuoli di pendolari che si abbattono sul centro e sui vari quartieri “produttivi” della città, tornando – specialmente in inverno – a notte fonda, in quartieri dormitorio che nessuno si sognerebbe mai di volerci vivere per sempre.

E poi c’è Londra: una città che anche io – come Chiara – amo molto e che sarebbe diventata forse “casa nostra” se fossero andate diversamente le cose nel 2009 e nel 2011. Ma forse anche quello è stato un segno del destino, non era quello il momento e magari – chissà – c’è ancora la capitale inglese nel mio futuro! Sicuramente lo sarà a breve: la Londra descritta nel libro mi ha fatto venire una di quelle voglie, da “nostalgia canaglia” per dirla con Al Bano e Romina!, per la mia East London, dove fui ospitato per qualche tempo nell’autunno di sei anni fa, ammirando (e anche un tantino spaventandomi) dalla vastità dell’umanità lì presente. Desiderio di rivedere Camden e di apprezzare Hampstead conosciuta soltanto per una stazione del Tube, la metropolitana di Londra e dai racconti proprio di Chiara sul suo blog! La Londra del libro è una città viva, piena di cultura e di voglia di sperimentare scommettendo sul futuro, non lasciandosi andare all’oblio che spesso invece in questo nostro strano paese ci ha attanagliato.

Ma – come scrivevo prima – è un libro innanzi tutto sull’amore verso se stessi: Lara, la ragazzina timida, impaurita e per certi versi sociopatica, riesce non soltanto a partire da Roma per Londra, sull’ebbrezza di un amore e del desiderio di sfondare nell’arte. Ma è proprio lassù, nella capitale britannica, che devastata dalla delusione amorosa – probabilmente metafora delle mille delusioni che tutti noi patiamo nella vita – si rimbocca le maniche, aiutata dall’amica fidata, si dà da fare e torna al suo mestiere, alla sua arte, alla sua passione. Sfondando. Perché in fondo amare se stessi è anche questo: provare a coronare i propri sogni, realizzare le proprie aspirazioni, assecondare positivamente le proprie ambizioni. Così facendo Lara, che un po’ rappresenta tutti coloro che soffrono per le barriere sociali e culturali che sono loro imposte, si libera dei suoi mostri e riesce anche solo per un istante a toccare con mano una felicità piena, frutto dell’amore per se stessi più che riflesso di ciò che gli altri vorrebbero fosse per noi.

È un libro già bello che pronto per una sceneggiatura di un film, proprio per come è scritto e pensato: due location meravigliose come le due città, una bella storia come trama principale e tanti belle diramazioni che “tessono” per ciascun personaggio un abito ben confezionato, pieno di colori e particolari, quasi dipinti proprio come la protagonista – Lara – avrebbe provato a dipingere su una tela.

 

p.s. il blog di Chiara Cecilia Santamaria è www.machedavvero.it
L’immagine da me elaborata è stata scattata a Londra integrata con una porzione della copertina del libro. Sul post “Ricordi di Londra” trovate qualche scatto del mio autunno londinese, mentre altre immagini le trovate ovviamente su www.vincenzopistorio.com.

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