L’altro Matteo

 In POLITICA
Come un Silvio Berlusconi dei tempi d’oro, quando insultava gli elettori di sinistra chiamandoli “coglioni”, il Presidente dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico Matteo Orfini ha offeso almeno 50.000 elettori romani che hanno preferito restare a casa anziché partecipare alle primarie per la scelta del candidato sindaco dei democratici.

Secondo il già dalemiano (o forse ormai “già tutto” per quanti salti mortali ha fatto sostenendo tutto e il suo contrario) Orfini, le primarie del centrosinistra nella Capitale sono da ritenersi un successo, anche per il PD, nonostante il crollo enorme dei votanti rispetto a soli tre anni fa, quando Ignazio Marino – da solo – prese più voti di tutti gli odierni candidati messi insieme. Per l’esponente democratico, stretto ormai in un fatto di ferro con il “principale” Matteo del PD, il repulisti da lui voluto – almeno così sostiene – dopo Mafia Capitale ha portato a consultazioni più pulite, senza capibastone, rom e truppe cammellate.

L’arroganza con la quale questa nuova dirigenza nazionale democratica, incarnata proprio dai due Matteo, si erge a giudice e censore dei comportamenti degli elettori è pari – se non superiore – a quella del loro impronunciabile idolo, Silvio Berlusconi, che asseriva che erano gli elettori – in Italia – a non saper votare: erano loro a sbagliarsi, lui no. Colpisce quindi nel PD lo scollamento della realtà, arrivando a sostenere che quelli che hanno rifiutato il voto domenica scorsa fossero quasi tutti appartenenti a qualche cosca o a una corrente occulta, volta a sabotare il partito ormai splendente che il patto fra i due Matteo è riuscito a creare.

Non si accorgono, o forse fingono di farlo per timore di perdere potere, che sono molti, moltissimi, gli elettori storicamente di sinistra che da poco meno di tre anni non si riconoscono più nelle politiche, nei valori e nella gestione del partito, da quando – dopo la vittoria alle primarie di Matteo Renzi – il partito è di fatto scomparso dai radar del radicamento locale, cosa letteralmente impensabile fino a non molti anni fa. Il crollo degli iscritti e il sostanziale fallimento dello strumento delle primarie sono la normale e ben profetizzata conseguenza di scelte dirigenziali in capo ai due Matteo e ai loro sottoposti, nel partito e nei gruppi parlamentari, che agli occhi di chi si continua a sentire portatore di valori e di istanze di sinistra sono state in continuità con le politiche di destra dei governi berlusconiani.

A furia di inseguire i voti parlamentari di Verdini, con lo scopo di rendere superflui i rappresentanti della minoranza del PD e preferendo comunque perdere la componente più radicale legata ai vari Civati, Fassina, D’Attorre, il risultato è stato che il PD ha perso consistente parte del suo elettorato storico e tradizionale, quello più a sinistra e più legato alle istanze del centrosinistra di prodiana memoria, istanze che non riesce più a scorgere nella politica del PD e del Governo guidato proprio dal suo segretario Renzi.

È d’altra parte l’ovvio risultato di un massacro senza distinguo delle ideologie: se i partiti da strutturati diventano liquidi, se si formano più sulla base del consenso leaderistico senza alcun presupposto ideologico ma soltanto un pragmatismo spinto ai limiti della decenza, un opportunismo che ti consente di definirti moderno nonostante imbarchi in maggioranza Verdini, Bondi e Repetti buttando fuori Fassina, D’Attorre e Civati, un cinismo per cui la rottamazione di D’Alema, Veltroni e in qualche misura Bersani si specchia nel mantenimento invece di un accordo con Berlusconi prima e con Alfano, Cicchitto e Schifani poi, allora gli elettori – saranno pochi o tanti non è importante – che per anni hanno votato professando idee e manifestando istanze più vicine alla sinistra, non parteciperanno più a selezioni di un partito. Questo infatti viene percepito come una melassa indistinguibile fra destra e sinistra, come una sorta non di una Democrazia Cristiana (che era un grande e serio partito!) del XXI secolo bensì di una pessima corrente andreottiana fatta partito, dedita all’accumulo e alla conservazione del potere fine a se stesso, come se la vittoria garantita dalla nuova figura carismatica della scena politica italiana fosse l’unico scopo della competizione politica, dimenticando poi il dovere di confermare le aspettative che molti – anche avversari interni assai dubbiosi ma possibilisti – riponevano in questa nuova leadership.

Prima che cominci la solita manfrina di appelli al voto utile, al senso di responsabilità «perché se no vincono gli altri!», sarebbe opportuno che Matteo Renzi convochi la direzione del suo partito – quella che una volta lui stesso chiamava seduta di autocoscienza per denigrare la vecchia dirigenza  – allo scopo di analizzare con umiltà e serietà la progressiva fuga dalle urne che gli elettori manifestano ormai a ogni consultazione, privata o pubblica che sia.

Richiamare al rischio del pericolo “barbaro” ormai non fa più paura a nessuno: così come l’Italia è sopravvissuta a 10 anni di governo Berlusconi, ai tecnici di Monti, alle larghe intese di Letta e sta (ancora) sopravvivendo all’andreottismo di Renzi, così Roma, Milano, Napoli, Torino continueranno a esistere anche senza un sindaco renziano, sia che venga eletta una grillina, un civico come Marchini o il candidato di centrodestra del capoluogo meneghino. D’altronde Milano è ancora Milano nonostante nel 1993 la Lega vinse le elezioni con Formentin e non sarà certo la paura di trovarsi una Appendino o una Raggi a Torino o a Roma a preoccupare più di tanto gli elettori di quelle due città.

Se predichi che i partiti non debbano più essere ancorati a valori e a ideologie, se questi valori li puoi annacquare in funzione dell’opportunità del momento politico (si veda l’abolizione del reato di clandestinità che è stata posticipata per non turbare l’opinione pubblica, cioè il consenso censito dai sondaggi), non puoi poi stupirti che l’elettorato di opinione, quello che nelle grandi città è più rappresentato poiché mancano i signori delle tessere, preferisce darti una lezione sonora alle urne per accelerare il momento del tuo commiato dalla politica. D’altronde è stato sdoganata la pugnalata alle spalla degli amici e dei colleghi di partito: non ci si potrà poi stupire se gli elettori si asterranno o si rivolgeranno altrove pur di non votare più PD.

E questo probabilmente Matteo Renzi – che è un finissimo stratega praticando le stanze della politica sin da quando aveva i calzoncini degli scout – lo avrà già chiaro da tempo visto che ha spostato l’ennesimo #Referenzum, il referendum sulla sua persona e sul suo governo, non sul voto amministrativo, dove forse ha già messo in conto di perdere qualche grande città, bensì sulla consultazione confermativa delle Riforme Costituzionali.

L’altro Matteo, invece, per quanto cominci a fare una piccola riflessione sul disagio rappresentato dalla fuga degli elettori romani:

 

Vediamo di capirci: la minoranza del Pd mi attacca per aver detto che nel 2013 a Roma c’erano le truppe cammellate, i…

Pubblicato da Matteo Orfini su Martedì 8 marzo 2016

 

starà magari probabilmente continuando a pensare e a sostenere (in privato, perché in pubblico bisogna correggere il tiro, visto che la comunicazione è ormai tutto!) che chi si è astenuto dalla primarie di domenica sia un mafioso o qualcosa di simile. Pazienza! Come amano tanto dire loro, renziani e diversamente renziani: ce ne faremo una ragione!

Evidentemente per l’ex pupillo di Massimo D’Alema è assai inconcepibile che a sinistra si possa essere molto diversi da Michele Serra che riuscirebbe a mettere la propria croce sul PD persino di fronte all’evidenza di un Verdini capolista del suo collegio! Purtroppo per i due Matteo aver liquefatto le ideologie comporta la conseguenza che persino a sinistra il “voto” diventi non più dovere intrinseco in sé. Tutta al più, quando ci si ricorda che il diritto di voto è costato il sangue di molti partigiani, ci si reca ugualmente alle urne e si annulla la scheda o la si deposita intonsa di qualunque preferenza. Persino domenica, a una consultazione privata che prevedeva la donazione di due euro, c’è stato quasi il 5% di schede senza un voto espresso.

Fossi nell’altro Matteo qualche domanda un po’ più intima me la farei e non cederei alla facile tentazione della risposta auto-assolutoria.

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