Ninna Nanna

 In SPORT
Finalmente si è vista la nostra Italia, quella che apprezziamo per ventitré mesi ogni due anni durante le tristi amichevoli invernali o al termine degli inutili stage che tutti i commissari tecnici della Nazionale pretendono di gestire, senza aver ancora compreso che i nostri eroi in mutande bianche e pigiama azzurro – quando la posta in gioco è nulla – non s’impegnano nemmeno se cascasse l’intero mondo. Così noi apprezziamo vivamente i nostri ragazzi che ieri sera ci hanno deliziato con una di quelle prestazioni che ci ha conciliato il sonno: mia figlia – per dire – sbucata in pigiama intorno alle 22.20 per farsi dare la buonanotte ha finito per darmi lei un bacetto e mettermi a nanna: «meglio non disturbare il pennicone di papà» – avrà pensato!

Una non-Nazionale come sempre accade quando il risultato è sicuro (addirittura per la prima volta dai mondiali di casa del 1990 – credo – siamo ammessi come primi alla fase a eliminazione diretta di un torneo internazionale) è scesa in campo per trascorrere 90 minuti a mo’ di yo-yo dei piccini, ipnotizzando i telespettatori che per fortuna avevano un grande pubblico sugli spalti da ammirare. Soltanto una paratona di Sirigu nel primo tempo e un palo di Insigne nella ripresa (a proposito, ma farlo giocare di più no, eh?) hanno destato gli addormentati tifosi sul divano dal soporifero ritmo della partita che gli italiani avevano deciso di disputare.

D’altra parte era abbastanza prevedibile che con otto undicesimi di formazione stravolta e con l’intento più che altro di non farsi male o beccarsi qualche altra inutile ammonizione, gli azzurri facessero una prestazione indefinibile. Naturalmente la speranza è che quanto meno l’impegno delle due prime partite si riveda lunedì pomeriggio quando affronteremo i campioni in carica della Spagna, con l’augurio che non si veda più in campo il numero 10: troppo dolore infatti è vedere la maglia che rappresenta nel nostro immaginario la fantasia, la classe, il talento, sulle spalle di un brocco come Thiago Motta che si trova in maglia azzurra soltanto perché non si chiama Salvatore e non viene da Caltagirone. Si fosse chiamato Turi, con quell’immobilismo e con tutti quei passaggi sbagliati, non avrebbe mai giocato nemmeno nella Nazionale Over 80. La sua presenza nei rettangoli di gioco e l’ostinazione con la quale il Paris Saint Germain lo sottrasse all’Inter di Moratti rimarrà per sempre uno di quei misteri irrisolti dell’umanità.

Infine una preghiera al CT: abbia ogni tanto il coraggio di mettere Insigne. Certo, abbiamo una lunghissima tradizione di fantasisti sacrificati sull’altare del catenaccio, da Rivera a Baggio, da Mancini a Totti e Del Piero, ma  ogni tanto qualche lampo di genio ti fa ricordare perché stai a guardare ventidue rincitrulliti che rincorrono un pallone, specialmente nella sera in cui ricorre il trentesimo anniversario del gol più bello di ogni epoca ad opera di un certo numero 10, di fronte al quale Thiago Motta potrebbe soltanto fare una cosa: cancellare la prima cifra dalla sua maglia, non valendo altro che la seconda.

 

p.s. come potete capire voglia di dare voti a queste mezze calzette non ne ho. Do un bel 10 al pubblico irlandese e a quel papà che s’è portato un neonato allo stadio, proteggendolo con le cuffie, rigorosamente verdi. Vedo che la malattia del tifo è presente a qualunque latitudine: ti fa sentire meno soli!

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