C’era una volta l’accountability

 In POLITICA
L’8 dicembre 2013, giorno che per oltre tre anni in Italia è stato considerato al pari del XXI aprile per Roma o del 2 giugno della nostra Repubblica, l’appena giubilato Matteo Renzi teneva il proprio discorso di vittoria con la sua solita forza, la sua consueta (all’epoca) schiettezza e la sua indiscutibile forza oratoria. Come sanno i lettori più antichi di questo blog non l’avevo votato così come l’anno prima alle primarie di coalizione: era però indubbio che il nuovo segretario del PD fosse un fuoriclasse della comunicazione.

Di quel discorso non condivisi nulla se non un punto: il concetto di accountability, cioè l’assunzione di responsabilità di chiunque ricopra un ruolo pubblico (quindi a partire dai politici) e del conseguente rendere conto delle proprie azioni e delle proprie decisioni.

Tale concetto è completamente scomparso dai radar della politica da quando il Partito Democratico a guida Renzi ha cominciato a perdere tutto: elezioni amministrative, referendum costituzionale, popolarità. Eppure ci sarebbe proprio qualcosa di cui rendere conto:

  1. Riforme Costituzionali: punto dirimente del programma di governo del segretario, sono state bocciate sonoramente dal corpo elettorale.
  2. Legge Elettorale Italicum: imposta con violenza dal governo, con dimissioni di un capogruppo alla Camera, sostituzione dei membri nella commissione Affari Costituzionali e tre voti di fiducia per inibire il dibattito parlamentare, è stata rasa al suolo dalla Consulta nella sua parte più evidentemente incostituzionale: il ballottaggio nazionale e le pluricandidature con opzione, salvando il premio di maggioranza come peraltro era prevedibile visto che della soglia di accesso allo stesso ne aveva parlato proprio la Corte nella sentenza di bocciatura del Porcellum.
  3. Riforma della PA: bocciata dalla Corte Costituzionale, ha visto incredibilmente la ministra Madia restare al suo posto e raddoppiare nel governo Gentiloni.
  4. Riforma del lavoro Jobs Act: per evitare il referendum abrogativo, il Parlamento sta letteralmente correndo per correggere l’abuso dell’utilizzo dei voucher che si sono trasformati da strumenti per far emergere giustamente il lavoro nero in una nuova forma di precariato. L’abolizione dell’articolo 18 ha visto esplodere i casi di licenziamenti illegittimi per motivi disciplinari (evidentemente i lavoratori sono impazziti, non c’è altra spiegazione!) mentre la disoccupazione giovanile resta enorme, specialmente al Meridione. La fine degli incentivi fiscali ha comportato una sostanziale stasi del recupero dei posti di lavoro recuperati dall’inizio della crisi, grazie soprattutto agli over 50.
  5. Politica economica e fiscale: le ricette di bonus a pioggia, così come l’abolizione indiscriminata della tassa sulla prima casa, confondendo il diritto di vivere sotto un tetto con il diritto di possederlo (quel tetto), ha comportato uno sforamento che l’Unione Europea ha quantificato in circa 3,4 miliardi di euro. Per non parlare dei mancati interventi tempestivi sulle sofferenze bancarie, interventi che sono stati successivamente adottati dal successivo governo (il cui capo, pacato, gode di maggiore popolarità del predecessore. Hai visto mai che gli italiani si sono stancati dei protagonismi?).

Penso siano sufficienti questi cinque punti per chiedere conto al segretario del Partito Democratico di quello che a un Massimo D’Alema qualunque sarebbe stato additato dallo stesso Renzi come fallimento e preteso la fine di ogni velleità politica e possibilmente il ritiro a vita privata.

Ciò che rimane del governo Renzi è soltanto la Legge Cirinnà, un primo sacrosanto ma anche amaro riconoscimento alle coppie omosessuale di diritti: amaro perché il compromesso al ribasso, necessario per portare a casa il risultato visto i giochini da asilo Mariuccia che democratici (sponda cattolica tradizionalista) e pentastellati (irresponsabili come quasi sempre in questa legislatura), ha portato il Parlamento a riconoscere che le coppie gay non costituiscono una famiglia ma una specifica formazione sociale, quasi fossero un club, e soprattutto ha lasciato centinaia di bambini privi della tutela giuridica dell’altro genitore, affidandosi di volta in volta alla buona volontà del giudice chiamato a decidere sull’affido.

Se fossimo a Westminster, il Parlamento britannico al quale Matteo Renzi non mancava mai di riferirsi durante le campagne per le due primarie che hanno visto la sua partecipazione, si parlerebbe eccome di accountability e probabilmente per il futuro si sarebbe invitato il segretario del PD a limitarsi a scrivere sul suo nuovo blog vintage di Fiorentina e di intrattenimento televisivo.

Un sorriso (cit)

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