Senso unico

 In MEDIA
Chiunque ami il Giornalismo (con la lettera maiuscola come è dovuto a un’istituzione qual dovrebbe essere) non può che applaudire l’editoriale impeccabile di Mario Calabresi oggi su Repubblica. Chi ha amato quel giornale fin da quando andava al liceo, chi acquistava il sabato l’inserto culturale Mercurio perché non poteva farne a meno, chi si è sempre formato sugli editoriali dei maestri Scalfari, Mauro, Zucconi, Valli, Rodotà, Pirani, Augias, Mafai, Aspesi, Bocca, Arbasino, D’Avanzo, Eco, Altan e mi fermo perché sicuramente dimenticherei qualcuno, non può che sottoscrivere le parole dell’attuale direttore del quotidiano di Largo Fochetti, con le quali Repubblica respinge le accuse rivolte ad alcuni giornalisti da Luigi Di Maio, Vice Presidente della Camera del Movimento Cinque Stelle, e rivendica il ruolo forte e deciso delle testate giornalistiche nel controllare il potere e renderlo nudo di fronte ai lettori e quindi ai cittadini.

«Perché i grillini non imparano ad accettare che la conquista del potere porta ad un necessario cambio di status: da controllori a controllati o perlomeno controllabili? Non si può pensare di avere una delega in bianco soltanto perché si arriva da fuori, soltanto perché si è giovani e nuovi. Non basta»: è vero, verissimo. L’età anagrafica non può essere l’alibi dietro cui nascondersi e nel frattempo non governare una città come Roma. E sicuramente non basta proclamarsi nuovi per essere sinonimo di progresso, specialmente quando si propinano scelte politiche ed economiche che riportano indietro nel tempo le lancette dell’orologio.

Tuttavia a noi che amiamo il giornalismo, a noi che piace l’odore della carta stampata, il fascino dell’inchiesta, le penne che riempiono taccuini e fanno del mestiere del giornalista la professione più amata dai giovani e la più detestata dal potere, non possiamo che sottolineare che la stessa determinazione che il direttore Calabresi ha giustamente manifestato contro il Movimento Cinque Stelle, sarebbe stato opportuno che fosse stata altrettanto forte e ferma quando da Palazzo Chigi partivano le veline “Renzi ai suoi”, per mano di Filippo Sensi e di tutto l’entourage che gestiva (o gestisce ancora?) la comunicazione di Palazzo Chigi.

L’ossessione per i retroscena, che è ormai diventato una specie di genere letterario a sé stante, con Maria Teresa Meli del Corriere della Sera nei panni della moderna Maria Callas del genere, non è giornalismo, non è minimamente lontano dal racconto dei fatti quanto piuttosto il suo esatto opposto, la mistificazione del gossip, del pettegolezzo e del chiacchiericcio ai fini di produrre attenzione su cose che nemmeno poi portano riscontri oggettivi, come spesso è accaduto.

Se il giornalismo italiano non gode di ottima salute, se come afferma Calabresi i giornali vivono un «deficit di credibilità e fiducia» è innanzi tutto dovuto perché non sono più percepiti dall’opinione pubblica oggettivi, che non significa essere terzi. Non è chiesto a nessuno di non essere di parte o di apparire terzo, se non ai giudici in tribunale. Ma altro è la rappresentazione soggettiva della realtà qual è un retroscena, soffiato nell’orecchio del cronista dal sapiente utilizzo degli spin doctor da parte dei politici.

Così come abbiamo fin troppo presente nella nostra memoria le battaglie con i post-it gialli, contro le leggi liberticide immaginate dal centrodestra berlusconiano, così ricordiamo un silenzio assordante dalle parti di Via Cristoforo Colombo, quando a immaginare riforme analoghe era l’esecutivo presieduto dal segretario del PD.

Abbiamo osservato che il giornale voluto da Scalfari si trasformasse da beniamino del rigore morale, con l’apice massimo sotto la direzione di Mauro, a quasi foglio di fotocopiatrice per i comunicati stampa e le slide che passava la massima dirigenza democratica.

Abbiamo sofferto che il giornale da noi amato avesse sposato acriticamente tutto ciò che la propaganda di una sola parte affermava essere la verità, con il risultato che il dibattito ospitato sulle sue pagine, in occasione del referendum costituzionale, apparisse ormai tardivo e incomprensibile, dopo i mesi spesi nel continuo e acritico fiancheggiamento di ogni provvedimento della maggioranza.

Quindi ben venga adesso la difesa del ruolo fondamentale della stampa, da parte di uno dei principali quotidiani del paese: ci auguriamo soltanto che questa ritrovata voglia di fare da cani da guardia del potere non scompaia non appena al potere torneranno gli amici.

La guardia o la si fa in toto oppure semplicemente tale non è.

 

p.s. immagine pixabay.com

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