Uno scoop è per sempre

 In LIBRI
Siamo così tanto abituati a leggere le sue cronache britanniche sulle pagine o sul suo blog di Repubblica che forse ci dimentichiamo che Enrico Franceschini è anche un brillante scrittore. Scoop è il suo atto d’amore al giornalismo, tanto per usare le sue parole in un tweet di risposta a un mio cinguettio: un atto d’amore per la professione di una vita, un mestiere che probabilmente una vita gli ha dato. Una professione che molti di noi da ragazzini abbiamo sognato, un sogno che era sinonimo di avventure, grandi inchieste, notizie scovate per caso e pezzi che trasudavano di lirica, e che per molti purtroppo sogno è rimasto.

Non così per Andrea Muratori, immaginario inviato di guerra in una repubblica centroamericana: giovane redattore sportivo di un grande e autorevole quotidiano milanese, che certamente il lettore stesso immagina essere il Corriere in perenne duello con Repubblica, per puro caso viene spedito in Centro America e da lì parte una surreale rincorsa verso la notizia della guerra civile. Un conflitto peraltro inesistente al suo arrivo ma che arriva poi a scoppiare davvero a causa della fantasia enorme dei giornalisti italiani, arrivati in massa nella capitale del piccolo stato, una specie di truppa della penna, con la più variegata compagnia di giro.

Con il suo umorismo inconfondibilmente emiliano (mi sembrava di ascoltare la sua voce narrante con il suo accento bolognese!), la sua penna così leggera e profonda al tempo stesso, Franceschini regala a noi amanti del grande giornalismo uno spaccato di una vita che abbiamo almeno una volta nella vita immaginato: viaggi in prima classe, alberghi a cinque stelle, stupende donne da corteggiare e da amare, storie quasi da inventare per il gusto dell’eterna partita a scacchi fra i maggiori quotidiani, privilegiando più lo stile che i fatti, più il racconto che la vera notizia. Ne esce fuori una storia deliziosa, piena di colpi di scena e foriera di un ritratto sul vecchio giornalismo di guerra che è un vero capolavoro.

Mi ha riportato alla memoria un altro bellissimo libro sul giornalismo, l’autobiografia “Parola di Giornalista” di Vittorio Zucconi: mentre l’attuale direttore di Radio Capital manifestava l’amore per il proprio lavoro raccontando le vicende, talvolta surreali, che gli erano realmente capitate, Franceschini scrive invece un romanzo per narrare una vicenda immaginaria che probabilmente trenta anni fa era certamente verosimile. Gli articoli dettati al telefono, la figura “mitologica” dei dimafonisti (coloro che raccoglievano le corrispondenze dettate al telefono), l’attesa per l’eventuale buco preso da una testata concorrente, appaiono adesso come una sorta di racconto storico. Oggigiorno, quando anche un comune cittadino si sente un reporter che ha la possibilità di lanciare in rete il suo canale televisivo in diretta sui social; oggi, che la televisione e i giornali vivono in costante controllo del fact checking, la trama di un libro come quello di Franceschini ci riporta al grande fascino dell’inviato di guerra, alla sua prosa barocca. Così concepita proprio per immergere il lettore dentro l’evento, a prescindere dalla reale aderenza ai fatti avvenuti, peraltro impossibili da verificare pienamente sia perché la nostra lingua è letta e parlata da un numero ristretto di individui, sia perché le dirette TV dagli scenari di guerra ci sarebbero state soltanto con la prima guerra del Golfo del 1991, lasciando quindi all’inviato la piena libertà di condire il suo pezzo con tutto il sale e il pepe necessario per rendere saporito l’articolo il giorno dopo al palato del lettore.

Rimane ben saldo, per tutto il libro, questo amore profondo per una professione che l’autore sicuramente nutre: anche Enrico probabilmente direbbe di aver dato la vita al giornalismo, ma come ha scritto Zucconi nell’ultimo capitolo del libro citato, è invece “il giornalismo che ha dato loro una vita”. Una vita che sicuramente avrà reso “orfani di ricordi” i loro figli (così li definiva la firma di punta dagli States di Repubblica) ma che sicuramente ha reso in qualche modo grati queste grandi e famose penne italiane per aver avuto la possibilità di conoscere meglio il mondo, guardandolo negli occhi di un tassista messicano, di un barbiere filippino, di un ambulante indonesiano, di una cameriera brasiliana.

Una vita, come quella che Muratori cominciava in Centro America, che alla fine del libro rivela un colpo di scena clamoroso: una specie di scoop nello scoop che ovviamente non vi svelo ma che rende la trama del romanzo ancora più originale.

Recommended Posts
CONTATTAMI

Per qualunque informazione scrivimi e ti risponderò al più presto possibile.

Not readable? Change text. captcha txt
0
VINCENZOPISTORIO.COM