La parola impronunciata

 In POLITICA
Qualche giorno fa, un amico mi ha chiesto se votassi ancora in Sicilia. Gli ho risposto che ormai sono anni che ho preso la residenza a Roma e che comunque mai come in questa tornata elettorale fossi felice di non votare nell’isola, visto l’esito scontato delle elezioni che porteranno al governo regionale il centrodestra berlusconiano, ripulito dalla faccia di Musumeci, un vecchio post fascista che pare abbia consenso addirittura trasversale. Cosa per me incredibile, visto che già il solo fatto di essere stati fascisti, quindi con una propensione alla cultura democratica prossima allo zero, basterebbe e avanzerebbe – in un mondo normale – per non essere nemmeno considerati politicamente accettabili.

Sento però il bisogno di affermare che se fossi un residente siciliano non avrei nessun dubbio nel votare Claudio Fava e probabilmente mi sarei impegnato in prima persona perché il suo progetto compisse i “cento passi” giusti per portarlo a Palazzo d’Orléans.

Voglio chiarire subito una cosa: questo non è un post contro quello o quel candidato. Non conosco minimamente il rettore di Palermo e il mio giudizio si baserebbe semplicemente sull’alleanza fra PD di Renzi e AP di Alfano, con la benedizione di Leoluca Orlando che ha politicamente creato la candidatura Micari.

No, questo è un post “pro” Fava e per una ragione semplicissima: durante tutta questa campagna elettorale, è l’unico che ha avuto il coraggio di parlare il linguaggio della verità incontestabile e di nominare la convitata di pietra in qualunque elezione che si tiene nella mia devastata terra. Nessuno degli altri candidati l’ha fatto, anche colui che ha preso in prestito per il nome della sua lista un’espressione di un grande siciliano, Paolo Borsellino, che non temeva certamente di pronunciare quella parola.

Claudio Fava è andato strada per strada, quartiere per quartiere, a tenere comizi anche dove nessuno sano di mente avrebbe consigliato di parlare (San Cristoforo a Catania) e non ha avuto paura di pronunciare quel termine che sembra che i siciliani rimasti lì abbiano quasi timore di voler sentire, come se non parlandone scomparisse magicamente tutto il peso che l’organizzazione criminale più devastante del Paese ha avuto e ha nel ruolo di freno alla crescita della nostra terra.

Perché cari compatrioti, che nei vari servizi televisivi che i talk show ci propongono continuate ad affermare che la mafia non esiste e che si trova a Roma e al Nord (ieri sera a Piazzapulita), è certo che le organizzazioni criminali stanno spingendosi verso le aree più produttive, una volta inabissatesi nel sottobosco della cosa pubblica, dopo il periodo stragista. È vero che spesso sembra che alcuni reati vengano perseguiti in modo differente in altre zone dell’Italia, come se per avere l’associazione a delinquere di stampo mafioso serva che i rei debbano essere meridionali, se non proprio residenti nelle storiche regioni affette da questo cancro. Ma ciò non può assolutamente essere un alibi per nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che la mafia e Cosa Nostra non esistano più nella nostra terra.

Lo sappiamo benissimo come si esercita tutto il potere mafioso: lo sanno tutti coloro che sono dovuti scappare dalla Sicilia per mancanza di una competizione regolare in un concorso o in un appalto, lo sanno quelli che non ottengono il posto di lavoro a scapito di un raccomandato magari legato a certe flussi elettorali per il controllo del territorio, lo sanno quei commercianti che ogni santa mattina non sanno se troveranno la saracinesca chiusa o divelta dalle bombe, lo sanno quei magistrati e quei poliziotti e carabinieri che la sera vanno a dormire sapendo che potrebbe benissimo essere l’ultima notte se qualcuno decidesse di riprendere la strategia esplosiva degli anni Novanta.

Lo sanno tutti coloro che lo vogliono sapere e continuano a volerlo urlare forte perché non si rassegnano a vedere la propria terra continuare in un declino e in una desertificazione che sembrano inarrestabili.

Ecco, Claudio Fava è l’unico che non sta indorando la pillola e che sta portando a termine una campagna elettorale coraggiosa, senza impresentabili portatori di voti, né improbabili assessori odiatori di professione, né assurdi narratori di un ottimismo che appare francamente fuori luogo, specialmente dopo essere stati partecipi del fallimentare governo Crocetta che avrebbe fatto bene a dichiarare default prima di lasciare quest’incombenza alla prossima amministrazione.

Nessuno fra Musumeci, Cancelleri e Micari (e mi fermo ai big anche se non mi sembra che gli indipendentisti/sovranisti/autonomisti abbiano a cuore altro che non sia una zona economica speciale, come se già la nostra autonomia speciale non abbia fatto abbastanza danni visto che non siamo diventati la Catalogna per forza economica) ha voluto nemmeno pronunciare il nome del vero nemico del popolo siciliano che lo tiene in ostaggio grazie a prebende e contentini, mentre la parte migliore della popolazione quando può scappa, altrimenti si eclissa per timore persino della propria incolumità.

E bisogna allora riconoscere il merito a Fava, al netto dell’interessante esperimento unitario che ha portato i partiti a sinistra del PD a unirsi una volta tanto e non a dividersi, di aver posto l’accento per tutta la campagna elettorale sul macigno che grava sulla Sicilia e su noi siciliani: perché dobbiamo essere per primi noi siciliani a rimuoverlo, a far sì che quando i nostri nipoti andranno in vacanza all’estero non debbano più sentirsi fare l’equazione Sicilia uguale Mafia, che tante volte noi abbiamo dovuto sopportare in silenzio, mentre la criminalità infestava i gangli vitali della nostra vita pubblica.

Se Claudio diventerà il nuovo Presidente della Regione Siciliana lo sapremo dopodomani: ma sicuramente abbiamo la certezza che anche nell’aula dell’Assemblea Regionale Siciliana, erede del primo parlamento al mondo, pronuncerà quella parola che gli altri invece non hanno nemmeno il coraggio di pronunciare, barattando la dignità politica per qualche migliaio di voti che potrebbero andar persi.

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