La vita nascosta

 In LIBRI
Tra le cose molto fortunate che mi sono capitate nel corso dello scorso anno, vissuto assai intensamente insieme al mio romanzo, c’è stata senza dubbio la conoscenza di Sara Ficocelli. Giornalista freelancer di Repubblica, ci siamo incontrati a Molazzana, nella Garfagnana, in occasione del premio letterario La Pania nel quale ci siamo entrambi classificati.

Ho comprato subito il suo romanzo, La vita nascosta, e l’ho apprezzato tantissimo. Ambientato a Roma, il libro è un crudo ritratto della vita degli emarginati, di coloro che vivono ai confini della società e che invece vedono scorrere – quasi rassegnatamente – la vita di coloro che possiedono le chiavi del successo nella città capitolina, metafora di qualunque metropoli dell’opulento occidente.

Ben raccontato, con uno stile conciso e coinvolgente, il romanzo colpisce la lettura del lettore direttamente all’anima: porta a riflettere sugli abissi culturali di un certo alto ceto sociale che appare quasi come annoiato dall’agiata vita che conduce e che cerca nel brivido della sopraffazione del più debole una scarica di adrenalina per sentirsi più vivo. Nel libro Sara parla di storie imbrigliate dalle convenzioni sociali, di amori e quindi vite nascoste per timore del giudizio sociale, come se l’amore fosse in qualche modo subalterno all’implicita eventuale approvazione o condanna che gli altri possano dimostrare.

Rappresenta il mondo della città che ospita entrambi (l’autrice è pisana) e che risulta essere preda – direi quasi ostaggio – di razzismo e omofobia in qualunque strato sociale: non fa sconti l’autrice a un certo modo di trattare le minoranze sinti ospitate nei campi romani, le quali peraltro appaiono come arrese a un destino fatto solo di delinquenza ed emarginazione. Affronta con estrema delicatezza ma allo stesso tempo fermezza il tema della prostituzione e la terribile esistenza che alcune transessuali si vedono costrette a condurre, circondate da un rifiuto a 360° nel momento in cui agognano una “normalità” sia di vita che di relazione. Come se perdessero quella dimensione umana che trascende dagli organi genitali posseduti e venissero catalogati dalla società contemporanea nella ridotta dei mostri, funzionali soltanto al soddisfacimento di taluni piaceri, senza né il diritto di provarne alcuno né tanto meno quello di poter possedere la vita normale che ciascuno di noi “normali” conduce, relegando la loro esistenza in un nascondiglio pregno di falsità e vergogna, in primis di se stessi.

In un tourbillon di eventi, dal quale è quasi impossibile per il lettore staccarsi e che lo portano facilmente al termine delle 180 pagine, il romanzo si dispiega in tutta la sua bellezza e lascia la sensazione che ancora molto ci sia da fare nella società contemporanea per portare avanti i valori di tolleranza e di fraternità che la dichiarazione dei diritti dell’uomo aveva all’epoca teorizzato. L’emarginazione e la prostituzione dei più indifesi fanno da contraltare alla bellezza della capitale, ai suoi tramonti dorati, ai suoi angoli zeppi di storia: restituiscono l’immagine di una comunità così zeppa di cinismo (e chi vive a Roma conosce bene tale componente caratteriale dei suoi abitanti) da apparire forse l’aspetto nascosto della sua gente. Come se ciascuno di noi che viviamo qui, in quella che noi consideriamo una vita normale e trasparente, in realtà ci troviamo immersi in una vita nascosta, fatta di diffidenza degli altri, sopraffazione verso gli umili, intolleranza verso i diversi da noi.

Una vita nascosta anche la nostra.

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