In preda alla follia

 In LIBRI
Non temo di esagerare nell’affermare che al quinto romanzo della saga di Carlo Monterossi Alessandro Robecchi abbia superato se stesso e abbia scritto il più bello dei cinque libri. Opere che ormai ad ogni inverno costituiscono un appuntamento immancabile per cominciare bene il nuovo anno! Sarà anche che Follia Maggiore si intreccia con il mondo della lirica – e chi mi conosce sa quanto mi piaccia l’Opera e quindi è stato davvero un piacere leggere il libro – sta di fatto che l’autore milanese stavolta mi ha letteralmente conquistato con una storia bellissima, con un intreccio stupendo e con una serie di soluzioni a un caso di omicidio che poi a poco a poco si svelano errate, per microscopici dettagli, fino al colpo di scena finale.

Senza voler entrare nella trama, anche perché fare spoiling non mi sembra proprio il caso, la cosa che colpisce di questo libro è che stavolta Robecchi scrive un romanzo veramente Politico, con la maiuscola. Chi segue l’autore sui social, soprattutto su Twitter, o sul Fatto Quotidiano, conosce bene la sua visione del mondo orgogliosamente di sinistra. Ma in questo libro va oltre: in queste pagine viene invece fuori un Robecchi totalmente politico, ma non nel senso che comunemente diamo noi alla lotta fra governo e opposizione, fra partiti e movimenti, fra i vari leader dei partiti.

L’autore con la sua storia innanzi tutto dipinge una società che è sempre meno descritta dalle cronache (alcuni problemi messi in risalto nel libro sono come scomparsi dal dibattito quotidiano sulla carta stampata, salvo rare eccezioni) e non analizzata a pieno dai cronisti politici, che spesso preferiscono il retroscena sul gossip, la comoda velina passata da qualche ufficio stampa per tirare su un po’ di copie,  anziché incalzare i politici e analizzare le relative risposte sui grandi temi di attualità. L’autore scava dentro le macerie della nostra società, devastata dalla crisi economica che ha mietuto una vittima illustre: il ceto medio. Robecchi descrive il mondo così com’è, crudo, complicato, complesso e difficile come quello che stiamo vivendo. Si incarica di raccontarci di come basti poco, ma veramente poco, perché il ceto medio di quello che una volta era il quinto o sesto paese più industrializzato del pianeta, quello del miracolo del secondo dopoguerra, venga letteralmente disintegrato da una crisi economica che ha visto il Capitale, che peraltro la crisi l’aveva creata, stravincere sulla pelle dei lavoratori che – ormai nudi da ogni protezione – hanno visto il Lavoro inflazionato e il relativo salario quasi derubricato a concessione del vitto del padrone, se non talvolta intralcio alla realizzazione compiuta dello sfruttamento.

Cadono, nella trappola della finanza e di una gestione assai allegra della liquidità bancaria, personaggi rappresentativi di ogni categoria sociale del ceto medio: l’insegnante, il bancario, il poliziotto. Robecchi porta l’attenzione sull’assoluta mancanza di etica né nel pubblico né nel privato, lasciando alcuni pochi eroi a lottare ancora per il loro servizio, ma – si avverte proprio – con l’amarezza che quella loro abnegazione, quel sacrificio continuo che viene chiesto a loro e alle loro famiglie per una vita non proprio dorata, non è detto poi sia proprio necessaria. Tali eroi appaiono in controluce come tanti Don Chisciotte alle prese con i mulini a vento dell’ingiustizia sociale, dell’enorme degrado etico che ha attanagliato vaste fette della società contemporanea. Eroi salariati, come i poliziotti che con grande passione risolvono i casi di cronaca nera; ultra benestanti annoiati come il Monterossi, che abbandonata ormai la Grande Fabbrica della Merda, come viene chiamata la televisione commerciale che fa ascolti sul dolore delle persone, si concede il lusso di un’introspezione assai profonda, alla ricerca di un senso della propria vita ben al di là dei fiumi di denaro che un programma televisivo può portargli in dote.

È un libro duro, durissimo, per chi riesce a leggere oltre il giallo, oltre l’omicidio dal quale scaturisce tutto. È un’opera estremamente coinvolgente perché basta veramente poca immaginazione per pensare che in certi ambienti, fra alcuni loschi individui, potremmo tranquillamente caderci in molti: dal professionista al funzionario, dal dirigente al servitore dello stato. Tutti – noi che costituiamo quello che una volta sarebbe stata la spina dorsale del paese – siamo a rischio di essere risucchiati nel vortice del malaffare, non fosse altro che per onorare e servire le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre vite, conquistate con la fatica del lavoro e spesso alla mercé dei capricci della finanza e di capitalisti senza scrupoli.

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