La notte di San Lorenzo per Biom.Aid

 In LIBRI, PROGETTI

«Finalmente nei prossimi mesi le nostre attrezzature arriveranno in Congo e vedremo concretizzarsi un progetto che ci ha visto impegnati moltissimo e per tantissimo tempo!». La presidente di Biom.Aid, la Onlus che abbiamo scelto per destinare parte dei proventi delle vendite de “La notte di San Lorenzo”, ha gli occhi che brillano: conosco Francesca Ottaviani da tanto tempo e quando ho saputo che era stata nominata presidente di questa associazione le ho proposto una chiacchierata per raccontare ai lettori di questo blog qual è e cosa fa l’associazione benefica prescelta.

Ci siamo incontrati venerdì scorso, abbiamo pranzato insieme vicino Villa Borghese, mentre lei mi raccontava un po’ della sua associazione e dei loro progetti.

– Allora, Francesca, la prima domanda è scontata: quando e come nasce Biom.Aid?
– Beh, formalmente nel dicembre del 2012 ma in realtà nasce molti anni prima grazie a un gruppo di appassionati al tema dell’ingegneria clinica da applicare al campo della cooperazione. Siamo tutti ingegneri specializzati in biomedica che ci siamo conosciuti frequentando i forum dell’associazione di categoria. Poi dopo qualche tempo abbiamo deciso di incontrarci di persona e con alcuni è proprio scattata una forte empatia che si è aggiunta a una grande stima professionale. Ci siamo resi conto quindi che ci serviva organizzarci formalmente per avere la possibilità di fare qualcosa di “pratico”. Un’organizzazione formale è infatti in grado di rispondere più efficacemente ai bandi di cooperazione internazionale o collaborare con le altre ONLUS o ONG che si occupano di tali tematiche.

– Eravate quattro i soci fondatori: siete cresciuti nel frattempo?
– Sì, adesso abbiamo raggiunto il numero di sette soci. Ciascuno di noi dà il suo contributo alla vita dell’associazione e ai suoi progetti, compatibilmente con gli impegni propri.

Biom.Aid sta per Biomedical Association for International Development. Sul vostro sito è ben chiara la vostra mission, anche senza andarsi a spulciare lo statuto: promuovere a tutti i livelli le tematiche dello sviluppo e in particolare la riduzione delle disuguaglianze nell’accesso alle cure e ai servizi sanitari. Ci spieghi attraverso quali progetti attuate questo intento?
– Il nostro progetto principale è il Progetto R.E.D. dove l’acronimo sta per “Refurbished Equipment Donation”. Fondamentalmente noi ci proponiamo come tramite per recuperare le apparecchiature sanitarie che le varie strutture dismettono a vario titolo (per rinnovo tecnologico, obsolescenza, eccessivi costi di manutenzione, non rispondenza alle normative) ma che ancora possono essere utilizzate.

– Un progetto molto interessante e anche semplice da comprendere.
– Ci siamo ispirati a un progetto francese realizzato da un’associazione, HUMATEM, fondata da un gruppo di ingegneri donne. Sì, hai ragione, il progetto è apparentemente semplice: riutilizzare apparecchiature ancora funzionanti donandole ai paesi in via di sviluppo. Purtroppo gli intoppi vengono dalla burocrazia e da buchi normativi presenti proprio nel campo delle donazioni da strutture pubbliche.

– Perché?
– Noi abbiamo proposto il nostro progetto innanzi tutto alla Regione Lazio: sul sito di Biom.Aid è possibile osservare lo schema di funzionamento e il ruolo che la nostra ONLUS ricopre. L’intento iniziale – che ti confesso aveva suscitato grandi aspettative in noi soprattutto dopo la reazione entusiasta nella Regione – era quello di arrivare alla realizzazione di un portale regionale che contenesse tutti gli asset tecnologici da dismettere e da essere messi quindi a disposizione di progetti di cooperazione. Il nostro ruolo è infatti quello di occuparci della valutazione dell’idoneità delle apparecchiature e della richiesta dei beneficiari, della gestione della domanda-offerta, del portale, del centro logistico per la rigenerazione, lo stoccaggio e la spedizione delle apparecchiature, dei servizi di supporto al progetto quali collaudo, formazione in loco e manutenzione, e per finire il monitoraggio e la valutazione dell’iniziativa. Ciò che manca purtroppo è una regolamentazione sulla donazione: c’è un vuoto normativo che causa purtroppo scantinati pieni di apparecchiature funzionanti ma inutilizzabili perché non si sa come donarle!

– Caspita! Ma com’è possibile questo? Cosa c’è di poco chiaro in un progetto di questo tipo?
– Ciò che non si comprende pienamente è che un progetto di questo tipo ha solo vantaggi: non ci sono i costi di smaltimento di queste apparecchiature, diminuisce lo spazio occupato attualmente nelle strutture sanitarie (e ti assicuro che ci sono i depositi pieni in alcune strutture sanitarie!) e soprattutto è un contributo enorme verso la cosiddetta “Circular Economy”, l’economia circolare, del riuso.

– Il fatto che la sanità sia pubblica per circa il 90% blocca quindi un sacco di potenziali risorse per questi progetti.
– Sì, infatti le donazioni dai privati sono molto più semplici! Ti faccio un esempio: noi da circa due anni abbiamo un mammografo che dovrebbe essere spedito in Congo e che invece è fermo: già verificato, imballato e pronto per la sua destinazione! Ma intoppi burocratici legati a un vuoto normativo impediscono la consegna a noi di questo materiale e poterlo quindi spedire.

– In Africa però qualcosa siete riusciti a mandare, vero?
– Sì, abbiamo mandato a gennaio alcune apparecchiature, fra cui sei ventilatori polmonari, un ecografo, un defibrillatore, lampade scialitiche per le sale operatorie, diatermocoagulatori, pulsiossimetri e anche un lettino per le visite!

– Mi dicevi però che la vostra attività non finisce così.
– No, certo. Voglio precisare però che il progetto di cooperazione in Congo nel quale ci siamo inseriti è di un’associazione padovana con la quale noi abbiamo collaborato: ecco, questa è una parte fondamentale del nostro lavoro, fare rete con gli altri. Il nostro lavoro però non finisce così, con la spedizione delle attrezzature: partiremo fra qualche mese per l’Africa per installare le apparecchiature e soprattutto per formare il personale in loco e renderli autonomi, che poi è la mission che ci siamo proposti relativamente al nostro secondo progetto che abbiamo chiamato “Telemanutenzione” e che può essere approfondito sul sito. È sostanzialmente un progetto di supporto al personale locale a usare correttamente le attrezzature che ricevono affinché le loro strutture non diventino una seconda discarica! Possiamo riassumere dicendo che cerchiamo di “insegnar loro a pescare” e non a “mangiare il pesce che prepariamo noi!”. Inoltre si va in loco anche per capire se hanno bisogno di altro materiale di consumo (tipo il gel per le ecografie, per intenderci!) oltre a quello che abbiamo già spedito. Altrimenti si rischia di spedire un’apparecchiatura che poi non è possibile utilizzare e finisce con passare dalla polvere italiana a quella africana!

– Perché è così importante questo progetto in Congo?
– Perché è la prima volta nel quale possiamo misurarci con qualcosa di tangibile, con una vera assegnazione da seguire dall’inizio alla fine.

– Mi sembra di capire che ci contate molto per il futuro delle vostre attività.
– Sì, perché grazie a questo progetto, con il quale ci stiamo misurando sotto ogni aspetto, avremo finalmente l’opportunità concreta di dimostrare come siano importanti questi progetti per la cooperazione, crescendo in credibilità da spendere per gli sviluppi futuri. Vogliamo far capire agli stakeholder istituzionali e all’opinione pubblica che basta veramente poco per ribaltare il paradigma degli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Serve solo buona volontà.

Il ristoratore porta il caffè: il nostro pranzo è terminato ma ci concediamo una passeggiata per parlare ancora un po’. Si resta sempre molto affascinati di fronte a progetti di questo tipo: noi nell’opulento Occidente, quello che ha fatto della prevenzione la miglior medicina per aumentare l’aspettativa di vita, diamo per scontata un’ecografia, un’analisi al sangue, persino un lettino per farci visitare dal nostro medico. Negli occhi di Francesca, e sono convinto anche in quelli di tutti i soci di Biom.Aid, si legge l’entusiasmo e la passione per un’attività così delicata e importante. Si scorge immediatamente che ci mettono l’anima affinché il loro progetto di aiuto e cooperazione ottenga i successi meritati.

Per quanto mi riguarda, e per l’accountability che vi avevo promesso lo scorso ottobre, a Natale ho effettuato la mia donazione. Pertanto tutti coloro che hanno acquistato «La notte di San Lorenzo»  siano orgogliosi di aver contribuito anche loro ad aiutare paesi in via di sviluppo. Visto però che in Occidente ci possiamo permettere qualcos’altro ho deciso che l’iniziativa dei due euro per ogni copia del mio romanzo sarà estesa sine die. A fine anno, come lo scorso dicembre, faremo la nostra donazione. E ovviamente lo faremo – come raccontato a ottobre – anche per ogni copia, cartacea o digitale, venduta attraverso le librerie (fisiche e non) e le piattaforme sulle quali l’ebook è distribuito. Quindi se avete intenzione di regalare un romanzo di uno scrittore esordiente sappiate che Antonio, Beatrice, Giulia e Tommaso con le loro vicende stanno cercando anche loro di aiutare i meno fortunati di noi!

Per chi volesse donare a Biom.Aid (anche via PayPal):
http://www.biomaid.org/collabora/dona

C/C bancario presso Banca Etica
IBAN IT90W0501803200000000156920
BIC CCRTIT2T84A

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