Il foglio bianco

 In PROGETTI
Èuna gran fortuna che siano stati inventati i computer: altrimenti avrei corso il rischio di contribuire anch’io in maniera determinante al disboscamento della Foresta Amazzonica! Chiunque si sia mai trovato a scrivere qualcosa, un racconto, un articolo, un libro, ricorderà benissimo quella strana sensazione che non ti va mai bene nulla di ciò che butti giù e che alla fine sia sempre meglio appallottolare il foglio e giocare a basket con il cestino della carta! Ma c’è soltanto un’altra sensazione terribile che batte anche questo senso di colpa ambientalista ed è quella che possiamo tranquillamente definire la “sindrome del foglio bianco”!

E questa sopravvive benissimo alla modernità!

Una volta aprivi un quaderno, un taccuino o mettevi un foglio A4 dentro la tua bella Olivetti e osservavi il vuoto del foglio, la punta della penna che faticava a comporre il primo grafo! Adesso è cambiato soltanto il tuo punto da osservare: apri il tuo file sul tuo programma di videoscrittura preferito, lo salvi con un nome improbabile – tanto sai che cambierà altre dieci volte prima di pubblicare – e cominci a contemplare il cursore del mouse che lassù – in alto a sinistra – comincia a lampeggiare incessantemente, ipnotizzandoti! E se non rischiassi di restare atrofizzato rimarresti lì ore e ore, a guardare quella barretta verticale che non vuol proprio sentire di spostarsi! Le tue mani le cominci a posare sulla tastiera, sperando che prima o poi i polpastrelli decidano di danzare come su un meraviglioso Steinway & Sons a coda, rilasciando quella meravigliosa e unica musica che sei certo ti conquisterà il cuore!

E invece non accade proprio nulla!

Allora indossi le cuffie, per isolarti da ogni possibile distrazione che possa circondarti, metti una playlist che ti ispiri (e questa cosa di avere tutta la musica che vuoi è invece un punto a favore della modernità!) cercando proprio quel pezzo che possa spronarti e innescare la miccia … ma non succede niente!

Nulla!

Il mouse continua sempre a torturare i tuoi occhi e la tua testa comincia a non contenere più i pensieri! Perché in realtà tu sai bene che l’idea è proprio lì dentro: in qualche parte della tua mente se ne sta rinchiusa, nascosta, quasi timorosa di venir fuori, di uscire allo scoperto e diventare in qualche modo “pubblica”, esposta alle intemperie del tempo, al giudizio prima del suo autore (sempre severissimo!) e poi dei potenziali lettori che vanno conquistati e affascinati, specialmente se nel passato si sono manifestati molto lusinghieri con la tua prima opera. È una lotta continua fra il desiderio e la pigrizia, fra la smania di voler partire per un nuovo viaggio emozionale e l’apatia del classico “chi me lo fa fare!”.

Allora ti alzi dalla scrivania, prendi qualche libro che ti ha appassionato e cominci a sfogliarlo: trovi Hikmet, saccheggiato già abbondantemente in passato, ma nulla! “Il più bello dei nostri mari” stavolta sembra si sia proprio asciugato!

Riprovi con Neruda: vuoi che quel suo “Quítame el pan si quieres / quítame el aire, pero / no me quites tu risa” non ti ispiri, con quell’incedere perentorio di privazioni, il pane e l’aria, nulla al confronto del sorriso amato? E invece nulla, sembra che nemmeno il buon Pablo ce la possa fare, persino quando implora “niégame el pan, el aire, / la luz, la primavera, / pero tu risa nunca / porque me moriría”! Non soltanto il pane e l’aria, ma anche la luce e la primavera è disposto stoicamente a sacrificare il poeta, pur di continuare a godere del sorriso della sua musa.

Eppure la tua Polimnia rimane silenziosa, mentre le note del pianoforte di John Legend introducono una malinconica ballata. Allora ti distrai un po’, posti qualcosa sui social network, sbirci un po’ il mondo attraverso le immagini che altri producono in continuazione, quasi a voler succhiare da loro l’ispirazione che cerchi e che ti manca.

Ma ancora niente, la tua musa tace, evidentemente se n’è andata via da qualche parte, scivolata via, proprio come John Legend sta cantando della propria innamorata mentre tu continui a fissare quel foglio bianco e quel puntino che continua a lampeggiare.

“Il fuoco ha smesso di ardere, i colori stanno sbiadendo … l’amore diventa così complicato …” – declama adesso il cantante statunitense e tu pensi che anche scrivere non è che sia così semplice come pensa chi ti chiede sempre “a quando il prossimo romanzo?”. Anzi, è un lavoro assai complesso, delicato, introspettivo.

È tardi, meglio uscire, fare due passi, respirare un po’ d’aria fresca che la mente ha bisogno di ossigeno nuovo e fresco ché senza quello non si va da nessuna parte. Il parco è stupendo in primavera: ogni autore sognerebbe di lavorare immerso nel verde, fra il fruscio delle foglie mosse dal vento e il cinguettio insistente di uccellini che ricominciano a tessere la tela della loro vita. Taccuino e smartphone sono in tasca perché lei, la musa, può materializzarsi da un momento all’altro e devi essere in grado di ascoltarne i versi e assecondare il fiume di ispirazione che potrebbe portare con sé. Il sole ti bacia il volto, chiudi gli occhi e ti assopisci mentre la musica accarezza le tue orecchie come la mano di una mamma sulla testa del proprio cucciolo. Legend si alterna a Chopin, per quei magici misteri degli algoritmi che regolano i nuovi servizi musicali in streaming, quasi sapessero perfettamente quali corde toccare per far vibrare l’animo di uno scrittore. E fra un accordo jazz e un trillo ad libitum alla fine l’impulso si manifesta sulle tue sinapsi e lo riconosci immediatamente: afferri lo smartphone, ché un’altra cosa che c’è di buono nel terzo millennio è che se scrivi una cosa a casa, questa te la ritrovi simultaneamente su tutti i dispositivi che vuoi, senza bisogno di fare alcunché. Fanno tutto loro e sì, certo, avrai pure ceduto un po’ di privacy, ma vuoi mettere la comodità!

Apri l’App e finalmente ricominci a decifrare ciò che la musa ti sta sussurrando all’orecchio: Legend canta P.D.A. proprio quando in fondo al viale due ragazzi si scambiano effusioni e tenerezze al primo tepore di primavera. Le voci felici e festanti dei bambini della vicina scuola ti avvolgono in un clima di festa e tu ti lasci trasportare da quelle che sono sì poche righe ma che rappresentano la rottura del ghiaccio, il punteruolo di Catherine Tramell, la scrittrice protagonista di Basic Instinct.

Chiudi tutto e ti incammini lentamente: vuoi assaporare fino in fondo quella sensazione, quel brivido unico che soltanto chi ne è stato posseduto può comprendere in pieno.

Il foglio bianco si sta lentamente riempiendo e lo osservi compiaciuto mentre l’ultimo raggio di sole della giornata prova a smorzare un po’ il gelo di questa strana primavera, regalandoti emozioni da decodificare, e già sai che prima o poi dovrai trovare il modo di intrecciarle all’interno di una storia, ormai tracciata, che a poco a poco scriverai.

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