La lingua degli dei

 In LIBRI
Se non l’avete mai provato di persona sono certo che su qualche pellicola romantica, magari con una di quelle fotografie calde e malinconiche, l’avete già visto. Ecco, avete presente quel magico, unico, indefinibile istante nel quale rimani rapito da uno sguardo e te ne innamori perdutamente? Quel paio di occhi che improvvisamente senti incollati ai tuoi e vorresti rimangano con te per sempre, a prescindere dalla relazione, più o meno unica e intima, che puoi avere con il suo legittimo proprietario? Ecco, questo è quello che è capitato a me quando ho letto le prime righe di introduzione di Andrea Marcolongo al suo “La lingua geniale”, libro nel quale l’autrice spiega le sue nove ragioni per amare il greco.

Premessa doverosa, altrimenti i quattro gatti, affezionatissimi lettori di questo blog, pensano che questo articolo sia una marchetta spudorata (peraltro un libro che ha avuto un successo planetario non ha certamente bisogno di un post su un minuscolo blog): non ho ancora avuto la fortuna di incontrare personalmente Andrea. Sapevo chi fosse perché ho scritto molto su queste pagine di politica e lei gironzolava dalle parti di Palazzo Chigi quando mezza Firenze s’è trasferita a Campo Marzio. Quindi avevo letto di lei, bravissima ghostwriter di Renzi (suo il celebre discorso sulla generazione Telemaco, scritto per l’inaugurazione del semestre italiano di presidenza europea), e del fatto che poi aveva lasciato la Presidenza del Consiglio. Dopo qualche tempo mi ha incuriosito una recensione di questo libro e l’ho acquistato, confidando che prima o poi sarei tornato alla saggistica, dopo la solita abbuffata di narrativa che sono solito fare in inverno (che sia un modo di sopravvivere al letargo e alle giornate buie, quello di strafogarsi di romanzi e di gialli, quando fa freddo? Indagheremo!).

Precisato questo, il libro è delizioso! Non so se tecnicamente si possa catalogare come un “saggio”: è una vera e propria dichiarazione d’amore verso questa antica lingua e forse anche qualcosa di più perché per l’autrice la storia con il greco antico è la più lunga e bella storia d’amore che lei stessa abbia mai avuto! Ora chi mi segue da quando è nato questo blog, ormai otto anni, si starà chiedendo se l’improvviso caldo romano non mi abbia fuso le sinapsi per occuparmi di greco antico e di una civiltà di tremila anni fa.

Vi porto allora a spasso un po’ per la mia vita, a partire da quando ero un giovanotto della scuola media superiore.

Dovete sapere che il greco per me rappresenta la più grossa lacuna formativa che sento di possedere. Mi spiego meglio: ho sempre considerato il Liceo Scientifico minoritario, rispetto al Classico. Per carità, ho conseguito la maturità scientifica con ottimi risultati ma ho sempre avvertito dentro di me una sorta di deminutio, un impoverimento, come se mi mancasse qualcosa (e Andrea Marcolongo sembra avermi letto proprio nel pensiero visto che a pagina 147 del suo testo asserisce proprio ciò, testualmente: «… così come chi ha fatto il liceo scientifico sentirà sempre la mancanza di qualcosa»!). Qui a Roma ho la fortuna di avere come amiche strette alcune donne che provengono dal classico verso le quali provo tanta stima e profonda ammirazione per il fatto che loro quella successione di strani segni sono in grado di leggerli senza l’immane fatica che faccio io!

Ci mettete poi che sono un po’ strano come tipo (d’altronde anche Andrea Marcolongo afferma di esserlo e come non potrebbe una che porta un nome che in Italia è praticamente soltanto maschile!) e ho sempre provato una certa invidia per quel retaggio antico che fa sì che gli studenti del liceo classico si dividano in ginnasiali (per i primi due anni) e liceali (gli ultimi tre)!

Vi racconto anche un’altra cosa. Quando frequentavo il liceo, ebbi una forte crisi interiore, come ogni buon adolescente che si rispetti, solo che io mi interrogavo anche sul fatto che fossi in presenza di una vera e propria vocazione (al sacerdozio). Nello studiare le Scritture mi capitava quindi di imbattermi in testi che facevano riferimento ai testi originali dei Vangeli che mi riportavano alla mia lacuna (adesso, grazie al libro di Andrea, ho scoperto che il greco del Nuovo Testamento è quello ellenistico, κοινὴ!). Similmente, quando cercavo di venire a capo della storia del Filioque (la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, secondo la Chiesa Latina, soltanto dal Padre, secondo quella Orientale, tema che costituisce una delle basi teologiche dello scisma d’Oriente, unitamente alle forti e pressanti questioni di natura economica), gli approfondimenti rimandavamo al Symbolum originario degli Apostoli che era ovviamente in greco! Qualche anno fa, attendendo mia figlia all’oratorio della nostra parrocchia, ascoltavo dibattere quattro sacerdoti – uno dei quali fine teologo – sulla vexata quaestio del Pater Noster e del celebre “ne nos inducas in tentationem” che nelle moderne vulgate delle varie Conferenze Episcopali a poco a poco sta per essere mutato in una forma più vicina alle intenzioni – si suppone – del Maestro (probabilmente pensare che il Padre Eterno si diverta a far cadere in tentazione i suoi figli non deve apparire assai simpatico per i fedeli!). I quattro sacerdoti, manco a dirlo, discutevano partendo dal discorso delle Beatitudini come riportato originariamente in Matteo … cioè in greco! Ora a parte il fatto che naturalmente compresi abbastanza velocemente che la mia non era propriamente una vocazione (peraltro c’era quel dettaglio della storia del celibato e dell’astinenza che consideravo/considero delirante) la “lacuna” mi ha perseguitato tutta la vita!

Qualche esempio? Nel 2005 mi beccai la mononucleosi: feci un’ecografia splenica e il referto parlò di splenomegalia. Se avessi fatto il classico non avrei avuto bisogno di chiedere al mio medico che diavolo avessi perché avrei subito capito di cosa si stesse trattando visto che σπλήν è il nome in greco della milza! E l’altra sera davanti a Boom!, trasmissione televisiva del Canale Nove condotta da Max Giusti, il greco mi sarebbe venuto sicuramente in aiuto per rispondere ad alcune domande che con facilità avrebbero ottenuto risposte se fossi stato in grado di decifrare l’etimologia corretta!

Però grazie a questo libro adesso sento di capire un pizzico infinitesimo di come si viveva e parlava nell’antica Ellade e posso cominciare a riempire un po’ quel vuoto che mi porto dentro!

L’opera di Andrea Marcolongo che mi ha completamente rapito, come dicevo, sin dall’introduzione. A cominciare dal rapporto con il tempo e dalla maledizione dell’orologio e del calendario che sembrano scandire la frenesia della nostra epoca. Io, che provengo dal Liceo Scientifico, non avevo nessuna conoscenza del fatto che in greco antico il quando venisse proprio molto ma molto dopo il come … di qualunque cosa o evento si presentasse agli antichi. Insomma ogni parola, ogni cosa, ogni fatto era importante in sé per il fatto che fosse accaduto non per quando fosse avvenuto. Questa cosa – per un autore purtroppo non classicista come me – assume un rilievo fondamentale: è di fatto la dimostrazione umanistica della Teoria della Relatività di Einstein … il tempo non esiste in sé, è una variabile come lo spazio!

L’altra cosa che mi ha ammaliato è la scoperta dell’aoristo, il tempo indefinito, come una sorta di eterno presente. Ho trovato questa cosa di una squisitezza linguistica meravigliosa: d’altronde in greco non esiste nemmeno il futuro, un po’ come nella mia lingua siciliana dove il presente sostituisce il futuro («jemu a mari dumani?» – «andremo al mare domani?», mi domanderebbe mia figlia se vivessimo a Catania e lei parlasse un po’ della lingua madre del padre!). Ho trovato geniale la distinzione di genere fra animati e non animati, che poi caratterizza la distinzione fra maschile e femminile da un lato e neutro dall’altro! E che stupore apprendere che molte delle parole che indicano la vita sono declinate al femminile, simbolo di fertilità!

Per non parlare dell’ordine delle parole che è semplicemente a completa discrezione dell’autore che quindi possiede sulla sua opera la più completa e totale libertà espressiva. Sarà certamente la bravura stilistica di Andrea mentre si legge tutto il paragrafo sui casi, ma un lettore che non ha studiato il greco antico, di fronte al fatto di apprendere che uno scrittore ha deciso di utilizzare quella ben determinata sequenza di parole per esprimere ciò che aveva in mente, avverte nettamente tutta la libertà che oggi non siamo in grado di respirare con la nostra lingua, nella quale siamo obbligati al rispetto di ferree regole sintattiche, senza le quali qualunque frase può essere fraintesa.

Curiosità enorme ha suscitato in me la presenza dell’ottativo – il modo del desiderio, soppiantato sin dal greco successivo a quello antico dal congiuntivo. Il capitolo su questo modo verbale è un piccolo capolavoro perché con un linguaggio assai semplice e a portata di studente non classicista l’autrice riesce a spiegare compiutamente cosa sia stato questo modo verbale così particolare, adoperato a seconda della sensibilità dell’autore. Ancora una volta una libertà impensabile per noi contemporanei, che un po’ di catene ce le siamo costruite nel passaggio alla lingua italiana.

È forse per tutto ciò che non posso che dare ragione ad Andrea quando afferma di pensare talvolta che «il liceo classico sia una scuola da adulti»: personalmente se non fosse troppo ridicolo iscriversi al 4° ginnasio per un uomo di 46 anni, lo farei senz’altro. Confido nella speranza (e nel tifo spudorato!) che mia figlia fra quattro anni chieda di essere iscritta al liceo classico e mi esorti dicendomi: «così, papà, possiamo finalmente studiare insieme il greco!», come spesso le ripeto io! Se non altro, non avrei più scuse poi, all’avvicinarsi della terza età, per non tornare sui libri e studiare lettere classiche come avrei voluto fare sin dall’estate di ventotto anni fa.

Non posso concludere questo post – che ovviamente lungi da me essere una recensione (ché non ne sono capace) ma è semplicemente un racconto di una meravigliosa avventura (di pochi giorni) di un lettore appassionato di “cose” antiche – senza parlare della cosa che più mi ha colpito. Ebbene forse la cosa che più mi ha appassionato – ve l’ho detto che sono strano, eh? – è la presenza del duale: non so voi, ma io trovo meraviglioso che esista oltre al singolare e al plurale, il duale per indicare un’intima connessione fra una determinata coppia. E trovo ancora più strabiliante che un autore abbia la libertà di indicare tale coppia come “duale” quando lo ritiene necessario, con una libertà totale di espressione, senza il vincolo di leggi grammaticali e decreti accademici (vi immaginate oggigiorno quante polemiche in meno sulla declinazione al femminile di talune professioni?).

Ho trovato il duale di una bellezza senza tempo e ho invidiato i nostri antenati che hanno avuto tale libertà. Vi riporto a tal proposito poche righe di Andrea Marcalongo per dare un senso pieno a ciò che voglio esprimere, ché lei è sicuramente più brava di me: «Coloro che hanno avuto il raro privilegio di amare davvero sapranno sempre distinguere la differenza di intensità e di rispetto che intercorre tra pensare “noi due” e “noi”; ma più non lo sanno dire. Per dirlo, infatti, ci vorrebbe il duale del greco antico». Ecco io credo che in queste poche parole, che la scrittrice verga sul finire del capitolo dedicato ai numeri e al genere, ci sia tutto sull’amore: c’è Platone, con le sue due metà della mela; c’è la forza del legame indissolubile fra due amici, fra due sposi, fra due amanti; c’è in altre parole la libertà di amare chiunque senza l’assillo della classificazione sociale, del bianco e del nero, delle convenzioni sociali, del “questo non è bene”.

E comprenderete da voi come lo spirito del duale, che ormai mi ha pervaso l’anima e l’immaginazione, sarà certamente presente nella stesura del secondo romanzo al quale sto lavorando e di questo non posso che ringraziare questa giovane scrittrice che ha consentito anche a me, studente scientifico, di colmare un po’ del vuoto formativo che avverto dentro.

 

p.s. Consiglio ai docenti delle superiori, sia del classico che degli altri licei, di far leggere il libretto di Andrea Marcolongo a tutti gli studenti. Che debbano studiare o meno il greco antico poco importa: è utile e formativo per l’approccio allo studio.
p.p.s. Con l’autrice ci siamo “sentiti” sui social e mi ha invitato a leggere anche il suo ultimo libro, La misura eroica. La misura eroica. Il mito degli Argonauti e il coraggio che spinge gli uomini ad amare, e io non vedo l’ora che arrivi il 3 maggio quando mi verrà recapitato. Per il momento mi sono guardato questa sua intervista a Gigi Marzullo e ho trovato questa giovane autrice veramente brillante.
p.p.p.s. L’immagine di copertina ritrae il Tempio della Concordia è stata scattata dal sottoscritto ad Agrigento (pardòn, Ἀκράγας!): il prossimo anno mi sa che andrò ad Atene.

Recommended Posts
CONTATTAMI

Per qualunque informazione scrivimi e ti risponderò al più presto possibile.

Not readable? Change text. captcha txt
0
VINCENZOPISTORIO.COM