La forza di un’immagine

 In POLITICA
La fotografia che vedete in cima a questo post, che ho già utilizzato per un altro articolo due anno fa, è rassicurante, vero? Per un attimo non pensate ci sia io con mia figlia, nata da qualche giorno: immaginate siano ritratti un padre e una bambina di un qualunque posto del pianeta. Non soffermatevi ai tratti somatici: immaginate di cambiarci i connotati con Photoshop o con qualche altro programma di photomorphing. Dipingeteci neri, gialli, rossi! Con gli occhi a mandorla. Con i capelli biondi, rossi, neri. Alla fine della fiera resta un’immagine che rassicura: un papà che ha fatto addormentare la propria figlia sul suo petto.

Stamattina avevo voglia di scrivere un altro post, per parlare di politica e del nuovo governo presieduto dal Professor Giuseppe Conte. Volevo ragionare sul lunghissimo iter di formazione di questo governo, sul ruolo straordinario svolto dal Presidente della Repubblica, sulle nefandezze che sono state scritte sul Capo dello Stato, sull’Aventino incomprensibile e suicida da parte del Partito Democratico, gestito da un gruppo dirigente ormai ostaggio del proprio ego e della propria indecente prosopopea.

Poi però mi sono imbattuto in una serie di commenti a questo durissimo post che ho rilasciato ieri su Facebook:

Che l’immagine del piccolo Aylan sia forte lo so bene. Ma che abbia avuto la forza di smuovere persino il colosso tedesco e la Iron Lady del terzo millennio, quella Cancelliera che sembra sempre impassibile di fronte a ogni cosa, mi sembra persino scontato.

Quel bambino sulle coste turche, raccattato come un bambolotto da un poliziotto, ha rappresentato il simbolo di quell’immobilismo dell’Europa e dell’Occidente di fronte alla tragedia della guerra e della miseria: è lì a rappresentare il monito per chiunque abbia ancora un briciolo di umanità e non voglia che si ripeta più nel nostro continente un olocausto. Avremmo dovuto rispondere: «con gli stermini di massa abbiamo già dato negli anni quaranta, grazie!». E invece noi abbiamo risposto con la violenza delle nostre parole, con l’arroganza dei nostri comportamenti, culminati nello stratosferico risultato elettorale di un partito, nato per fare la secessione del nord e finito per diventare un partito sovranista e xenofobo, guidato a un personaggio di dubbia formazione culturale che afferma concetti oggettivamente razzisti.

E il fatto che questo tizio adesso si trovi al Viminale, a capo di quel ministero che dovrebbe garantire l’ordine pubblico e che dovrebbe proteggere e far sentire sicura la popolazione (tutta, italiana e straniera) che si trova sul territorio nazionale e che è onesta fino a prova contraria (o forse la presunzione di innocenza vale per noi bianchi, italiani e possibilmente cattolici mentre non si applica a quelli di colore?), è un qualcosa che mi provoca rabbia, amarezza e tristezza perché le posizioni di Matteo Salvini nel 2018 sono peggiori di quelle del governo confederale all’epoca della Guerra di Secessione.

Lui, che cantava che i napoletani puzzavano, contraltare di chi auspicava con i cori da stadio che il Vesuvio imitasse la mia montagna e facesse piazza pulita dei “colerosi” partenopei, che ha avuto l’ardire di candidarsi al Senato in Calabria, in quella Magna Grecia che mai avrebbe concepito un personaggio simile nel contesto pubblico, adesso ce lo troviamo al Viminale, a giocare a fare lo sceriffo con la parte più inerme dell’umanità.

Ci sarà tempo per parlare ancora di politica, per partecipare (con la poca voglia che ancora mi rimane dopo oltre trenta anni di ossessione!) alla vita pubblica di questo paese. Ci sarà sicuramente modo per dibattere della mia parte politica, la sinistra, ormai ridotta a riserva indiana e dispersa fra le fratte del bosco dell’astensione e dell’incredulità.

Ma oggi è per me il giorno giusto per ribadire ciò che su tutti i social ho scritto ieri e che sintetizza la mia posizione nei confronti di questo ministro e del governo del quale farà parte:

Non praevalebunt.

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