L’ultima bracciata

 In LIFE, SPORT
Se avessi saputo che la sera del 3 marzo sarebbe stata l’ultima vera seduta di allenamento di questa sfortunata stagione agonistica probabilmente ne avrei assaporato ogni singolo minuto.

Se avessi saputo che non sarei più rientrato in vasca sono certo che avrei cercato di memorizzare quanto più possibile le sensazioni dell’acqua che scorre sulla pelle come una carezza amorevole.

Se avessi saputo che quel 25 veloce sarebbe stato l’ultimo sprint avrei sicuramente conservato nella memoria dei ricordi più cari le canzoni canticchiate durante le ripetute e le parole scambiate in quell’ora a mollo.

Sono già otto le settimane senza nuotare e domenica compirò due mesi interi senza piscina: devo tornare con la mente alla primavera del 2017, all’infortunio alla spalla destra, per ricordare qualcosa di analogo. Ma lì c’era di mezzo un brutto infortunio alla cuffia del rotatore: mesi di dolorosissima fisioterapia per recuperare il movimento e per far rimarginare una brutta lesione al capo lungo del bicipite, causata da un sovraccarico e probabilmente da un movimento sbagliato. Ricordo perfettamente quella sera: il recupero della bracciata a delfino e la “pizzicata” intensa dentro la spalla. Un dolore fortissimo e la mattina dopo il braccio si sarebbe potuto spostare soltanto grazie all’altro, senza alcun movimento autonomo. Durante la fisioterapia non avevo però mai interrotto di nuotare: «Dovresti fare anche un po’ di idrochinesi» – mi disse l’ortopedico – «ma visto che tu già nuoti, non smettere di farlo, evita di caricare e non preoccuparti se accorci le bracciate. È importante che muovi la spalla, il resto, il gesto tecnico, verrà da sé una volta guarito». Furono lunghe settimane: ogni pausa pranzo la passavo sul lettino del centro medico e i primi tempi quasi piangevo dal male causato dalle manovre cinetiche.

Questa volta invece lo stop al nuoto è assai diverso: stavo in una fase di crescita fisica molto buona, avevo in programma un’organizzazione assai più efficiente degli allenamenti, contando sulla primavera e sul bel tempo. Avrei ritagliato qualche ora il lunedì all’ora di pranzo per una ripresa feriale insieme a una compagna di squadra libera da impegni proprio il primo giorno della settimana, forse un doppio allenamento il martedì e il venerdì, il solito mercoledì di velocità, il sabato per la rifinitura e la domenica finalmente riposo con la famiglia, dopo che per l’intero inverno loro due si sono dovute sorbire la mia assenza persino la mattina dei dì di festa. Sapevano, come lo sanno tutti, che ne sarebbe valsa la pena: il nuoto master è per me un’attività assai importante dentro la mia routine, fondamentale esperienza per soddisfare il mio bisogno primario di stare immerso nell’acqua, il mio vero habitat naturale. Fare sport è sempre una cosa buona per tutti, non c’è dubbio: il passaggio successivo, impostarlo come se fosse una parte del tuo mestiere, non è invece qualcosa che sia sempre positivo. La cosa bella del nuoto a questa età è che ciascuno di noi atleti master può dedicarsi a questa attività come più gli aggrada: c’è chi prende i giorni di allenamento istituzionali come la valvola di sfogo della settimana, chi si butta per mantenersi in forma, chi per socializzare, chi per avere una buona scusa per mangiare! E poi c’è chi sente che tutto ciò non è sufficiente e che il nuoto deve diventare una specie di mestiere, una seconda attività principale in assenza della quale anche la prima, quella che ti porta i soldi a casa, perderebbe di significato.

Questa che ormai sta per concludersi anche ufficialmente è la mia terza stagione da “professionista”, come mi definisce il mio allenatore. È stata una stagione stranissima, cominciata molto male per ragioni che non sto qui a rimuginare o rivangare, ma che eravamo riusciti a raddrizzare grazie a un lavoro intenso e una disciplina salutistica quasi maniacale. Non è stato semplice ma chi ama il nuoto, chi sa che la competizione in uno sport fortifica, è disposto anche a sacrificarsi per portare a compimento i propri obiettivi: sui miei ho riversato tantissime aspettative, cercando di scavare in fondo a me stesso per trovare quell’entusiasmo che fra settembre e ottobre era sparito. Ho imparato ad ascoltare più il mio corpo e la mia mente: in questo il nuoto agonistico è un toccasana per la mente. Serve a disciplinare persino i pensieri, oltre che l’alimentazione e lo stile di vita in generale. Ho cercato di comprendere più a fondo i messaggi che il mio fisico mi mandava, anche quando questi non erano troppo chiari. Mi sono fidato del coach e di me stesso perché soltanto una simbiosi perfetta di fiducia fra allenatore e atleta può portare a meta.

Alla fine, ho fatto il miglior campionato regionale da quando sono un nuotatore master, con quattro record personali su tutte e quattro le distanze nuotate, abbattendo muri psicologici, confermando alcuni risultati, migliorando sensibilmente sulla velocità pura, perfetto viatico per un campionato italiano in vasca lunga che a Riccione avrei voluto disputare per “vendicare” le delusioni della scorsa estate. Ma ieri ovviamente è arrivata la notizia dell’assai probabile annullamento della manifestazione: d’altronde come si potrebbe mai organizzare un evento con 3.000 atleti in una fase dell’epidemia ancora così rischiosa? Probabilmente decisione analoga verrà presa per gli europei che erano in programma a Budapest a fine maggio, subito dopo quelli degli atleti di élite. Quattro anni fa a Londra, quando vi partecipai, gli iscritti furono circa 11.000: ora con tutta la buona volontà io non credo proprio che sia possibile organizzare qualcosa del genere prima – speriamo – del 2021!

L’ho presa tutto sommato bene: ovviamente, se li avessero confermati, non ci sarei più potuto andare, anche perché in questi due mesi la disciplina a tavola è saltata. Il cibo è diventato una coccola obbligata in un’epoca di lockdown e la sedentarietà ha preso il sopravvento. Ieri ho provato persino a correre, io che odio la corsa: non credo ci siano articolazioni che non mi facciano male e muscoli non invasi dall’acido lattico! Adesso la speranza che almeno dal 18 maggio qualche bracciata potremo ancora darla: non ci saranno gare da preparare ma soltanto un limitare i danni di questa clausura forzata prima dell’avvio della stagione nuova che però è piena di tantissime incognite, prima fra tutte le condizioni di forma e di salute che a quasi 50 anni possono differire da un anno all’altro significativamente. Poi c’è il resto. Ritrovare la voglia per un altro anno, con tutto ciò che comporta: sacrifici economici, perché il nuoto non è certo uno sport a basso costo, e fisici.

Se avremo ancora la voglia di metterci in gioco, se saremo ancora disposti alle levatacce mattutine per un’ora di fatica; ai pomeriggi freddi e umidi forieri di allenamenti serali gelidi; alle diete sportive ferree, povere di condimenti e sempre controllate; alle festività natalizie “disciplinate” mentre intorno la Sicilia dà il meglio di sé con la sua meravigliosa cucina; se saremo disposti a tutto questo allora varrà ancora la pena buttarsi in acqua e faticare, girare come un dannato criceto dentro la gabbia, sbattere i piedi in virata contro il muretto e imprecare per quel tuo compagno che si è fermato boccheggiante al centro della corsia, toccare i piedi alla tua amica davanti a te sapendo che dopo te ne darà di santa ragione, piangere di tristezza per quel secondo di peggioramento, matematico a dicembre, e di euforia per qualche centesimo di secondo in meno a febbraio.

Se ci sarà tutto questo allora vorrà dire che un altro giro di giostra ce lo concederemo, anche se è la prima volta da quando sono tornato in acqua sette anni fa che veramente non so se a settembre la voglia ci sarà o se piuttosto quella del 3 marzo scorso sia stata veramente l’ultima bracciata.

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