Quando arriva la fine

 In LIBRI
È molto tempo che non scrivo di libri letti o che voglio leggere. Non ho tantissimo tempo da dedicare alla lettura – lo confesso: tra blog, fotografia, nuoto, famiglia e romanzo (ho finalmente ripreso a scrivere!) ci sarebbe urgente bisogno di un allungamento delle ventiquattro ore giornaliere ma pare che ciò non sia proprio possibile!

Oggi però voglio parlare di un libro che in realtà ho acquistato su iTunes un po’ di tempo fa – appena uscito – e che ho finalmente letto durante qualche tragitto in treno fra Roma e l’Umbria dove la mia famiglia ha trascorso l’estate scorsa un mesetto di vacanza. Si tratta dell’ultimo libro di Pierluigi Battista “La fine del giorno“, un diario, pubblicato da Rizzoli nel 2013, che racconta degli ultimi mesi di vita della moglie di Battista, Silvia, alla quale viene diagnosticato un cancro ormai incurabile ed entrambi cominciano il loro struggente percorso che li porterà a una separazione proprio non voluta.

Non è affatto un libro patetico o strappalacrime, anzi: è molto ironico, come d’altronde chi legge o segue l’editorialista del Corriere della Sera sui social network sa bene, e intreccia il racconto del calvario, che Silvia e la sua famiglia vivono, con la storia che avrebbe voluto scrivere prima di questo dramma, sui vecchi “bavosi” che non accettano il progressivo declino del proprio corpo (e della propria sessualità) e che inevitabilmente appaiono surreali. Così come diventa quasi ridicola la ricerca di un vigore sessuale giovanile, attraverso il viagra, mentre ancora si è lontanissimi dalla completa guarigione dal cancro. Accanto al dramma della moglie, Battista ci porta per mano attraverso un viaggio “letterario” sul binario della vita maschile, con ritratti impietosi – attraverso gli autori preferiti dal giornalista – di noi uomini più o meno tutti ossessionati dal nostro fisico e dalla nostra gioventù perduta, che mano a mano vediamo scomparire per l’incedere inevitabile del tempo. Confesso che moltissimi degli scrittori citati dall’autore li conosco marginalmente, avendo letto pochissimo di loro e sicuramente Pierluigi Battista ha suscitato la mia curiosità, riproponendomi – spero – di rispolverarli dai miei scaffali e cominciare ad approfondirli.

Ovviamente è anche un libro sulla malattia, sulla vita e sulla morte, sull’accettazione di un dolore – della moglie – e sull’elaborazione di un lutto – dei superstiti. Come sa bene chiunque abbia perduto una persona cara, soprattutto quando è assai vicina come un coniuge o un genitore, l’angoscia principale sta nella sopravvivenza e nell’incredibile e per certi versi misteriosa forza che consente di andare avanti quando tutto ti sembra insormontabile. Non credo di sbagliare dicendo che Pierluigi Battista con questo libro abbia cominciato il suo lungo percorso di elaborazione del lutto e della mancanza, la lunga accettazione della vita senza la compagna, pensiero che certo accompagna chiunque abbia un rapporto stabile e duraturo e che ovviamente – passando il tempo – fa i conti con l’inevitabile distacco che un giorno ci sarà.

Con molto pudore e con una delicatezza dolcissima, Battista ci racconta il suo dolore e piange insieme ai suoi lettori la scomparsa della moglie, descritta quasi come una candela che consuma sì a poco a poco il proprio stoppino ma che fino all’ultimo illumina la propria esistenza e quella della sua famiglia.

Forse apparirà normale che un giornalista e scrittore trovi nella scrittura lo sfogo per elaborare il proprio lutto e la propria “sopravvivenza” in questo mondo: sicuramente è così e chiunque abbia il dono della penna, narrativa o poetica che sia, certamente si affida al proprio talento quasi fosse una sorta di psicoterapia individuale. Ma nel caso di questo libro secondo me c’è qualcosa di più: non è un diario umorale, pieno di singhiozzi e di rimpianti. È piuttosto la ricerca di una dimensione umana del dramma, è un’analisi dell’uomo e del suo progressivo declino attraverso la letteratura, specchio fedele dei tempi – come ci dicevano sin dal Liceo i nostri docenti di lettere, è l’accettazione dell’inevitabile imperfezione che il corpo umano porta con sé e che ancora la medicina – nonostante i passi enormi in avanti – ancora è impotente di fronte a certe malattie.

Infine la copertina, con una bella e semplice sedia Adirondack rossa, oggetto assai amato da Silvia: Pigi racconta l’amore della moglie per quelle poltrone e si rimane come stregati dal racconto. Pur sapendo che i tristi eventi si svolgono a Roma, città caotica e ingovernabile, a volte si ha come la sensazione di ritrovarsi lungo le coste frastagliate del Maine, nel New England, con un caldo sole a riscaldare una tiepida giornata autunnale. Non è difficile immaginare i due protagonisti assorti nella lettura di un libro di Philip Roth, adagiati comodamente su queste tipiche sedie americane.

 

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